No, non preoccupatevi, non voglio raccontarvi per la millesima volta la caduta del Muro. I suoi mattoni vi usciranno ormai dalle orecchie. Mi avventuro a capire il senso di quel che accadde quel giorno a Berlino e nel mondo, per dire poi in estrema sintesi quel che resta oggi. Comincio da quel che non sono ancora riuscito a capire. Resta un mistero la caduta del Muro, il crollo indolore e simultaneo di un potere cristallizzato da vari decenni. Resta un mistero che una cortina di ferro si sciolga come neve al sole, senza significative reazioni. Anche i regimi più impopolari e le nomenklature più detestate hanno una schiera di fedelissimi che ingaggiano una lotta finale, tentano un’estrema difesa arroccandosi in una ridotta. A Berlino invece non accadde nulla e così in larga parte dei Paesi usciti dal comunismo. Il comunismo si piegò su se stesso, si spense come idea per sopravvivere come apparato e rigenerarsi come potere.
Primo. A che serviva il Muro? A impedire di vedere la realtà. L’impostura originaria del Muro fu nella definizione che ne diede il leader della Germania Est Ulbricht: «barriera protettiva antifascista», come se il Muro proteggesse la Germania comunista dall’assalto e dalle insidie di un fantomatico fascismo occidentale. E non arginasse invece le fughe verso Ovest, che nel giro di pochi anni avevano coinvolto il venti per cento della popolazione, circa tre milioni di tedeschi orientali. Non era accaduto neanche sotto il nazismo. Prima di ogni teoria o analisi, quel flusso spontaneo certificava il fallimento del comunismo.
Secondo. Il Muro caduto segnò la fine del dramma tedesco. Un dramma cominciato con la sconfitta della Prima guerra mondiale, poi l’avvento del nazismo, poi la II guerra e le sue immani distruzioni, infine lo smembramento e l’oppressione sovietica. La Germania ha sofferto due volte l’orrore del Novecento, e non solo perché fu l’unico Paese a patire in pieno il nazismo e il comunismo. Ma anche perché fu il Paese più distrutto e martoriato ma privato, dall’orrore della Shoah, del diritto di soffrire il suo dramma e di piangere i suoi morti.
Terzo. Con il Muro di Berlino cadde anche il Muro del Tempo, per citare il titolo di un libro di Ernst Jünger. Il Muro preservava l’anacronismo tra le due Germanie, che vivevano in epoche diverse; a Ovest c’era il tempo della modernità, dei consumi, della libertà individuale e della democrazia. A Est il tempo si era invece fermato alla Prussia, alla Germania nazista e al comunismo, versione regressiva e repressiva della modernità. La caduta del Muro sincronizzò le due Germanie che vivevano in tempi diversi. L’Est entrò nel tempo dell’Ovest.
Quarto. Il comunismo fu sconfitto sul suo stesso terreno. Aveva ingaggiato una sfida con l’Occidente nel nome del materialismo e dell’ateismo, del progresso e della liberazione, dell’economia e della tecnologia e fu sconfitto dall’Occidente sul medesimo piano, da un materialismo ateo più pervasivo e consensuale, da una società più progredita, da una liberazione individuale più radicale, da un’economia più efficace e da una tecnologia vincente. Se vogliamo, l’89 fu davvero il rovescio del ’68, e non solo perché si realizzò la Primavera di Praga ma perché lo spirito del ’68 corrose la vetusta ingessatura del comunismo.
Quinto. Come può definirsi l’epoca uscita dalla caduta del Muro di Berlino? Era globale. Con la caduta del Muro finirono le ideologie del ’900, i blocchi contrapposti, la divisione orizzontale del mondo tra Est e Ovest, il comunismo e il residuo fascismo. Altri eventi, come piazza Tienanmen e lo scacco sovietico in Afghanistan, la morte di Khomeini e il crollo di altri regimi comunisti, accelerarono quel processo. La storia cedette il passo alla tecnica, l’ideologia all’economia. Tecnica e mercato furono le ali della globalizzazione.
Sesto. La caduta del Muro provocò due conseguenze opposte: da un verso accelerò la globalizzazione, caddero le frontiere, decaddero gli Stati nazionali; dall’altro verso la riunificazione tedesca rianimò le identità territoriali e nazionali, riaccese le etnie e i localismi. La stessa Europa riflette questa ambiguità: da un verso nacque dalla dis-integrazione degli Stati nazionali, che è un gradino verso la società planetaria; ma dall’altro nasce come argine e risposta alla globalizzazione. Anche un muro caduto ha due punti di vista.
Settimo. Bisogna avere l’implacabile onestà di ammettere che la caduta del Muro non fu solo emancipazione e libertà ma fu anche un cedimento al primato dei consumi, una vittoria dell’individualismo sul legame sociale e comunitario. L’Oriente e l’Occidente non si unificarono, ma il primo si sciolse nell’altro, si lasciò annettere e colonizzare. L’Est fu attratto più dai vizi che dalle virtù dell’Occidente, più dalla liberazione sessuale che dal pluralismo dei partiti, più dalle merci che dal diritto di opinione, più dal denaro che dalla democrazia.
Ottavo. Dopo lo spartiacque tra Est e Ovest sono sorte due nuove frontiere: tra Nord e Sud del pianeta; e tra Centro e periferie. Il conflitto con l’Islam rientra nei due scenari. Un tempo si riteneva che il comunismo sarebbe stato l’Islam del XX secolo; oggi si sostiene che l’Islam sia il comunismo del XXI secolo. In realtà non spiega il mondo lo schema del conflitto di civiltà tra Occidente e Islam e nemmeno quello tra democrazia e terrorismo; altri soggetti crescono nel mondo (la Cina, l’India, più svariate periferie), l’Islam non è un blocco omogeneo e ostile, il terrorismo non può essere elevato a Nemico Principale.
Nono. In Italia il crollo del Muro di Berlino, produsse la fine del comunismo e l’immediata sostituzione della sua epopea con la celebrazione della Rivoluzione francese di cui cadeva nell’89 il bicentenario. Il richiamo alla rivoluzione borghese segnò la nascita di una sinistra non più proletaria e operaia, ma radical-borghese, neoilluminista ed elitaria, succube del fantasma che aveva evocato: il partito giacobino, di cui divennero portatori i magistrati e i partiti derivati. La sinistra uscita dal ’900 comunista tornò al 1789, light e strong.
Decimo. Il mondo in cui viviamo sorge su due distruzioni: quella benefica del 9/11 di Berlino e quella malefica dell’11/9 di New York. Si avvia a tornare multipolare, non più dominato da una Sola Superpotenza, gli Usa. I nemici non sono più delimitati da un territorio e da uno Stato, ma sono interni, diffusi e virali: il cortocircuito tecnologico e ambientale, demografico e migratorio, esistenziale e autodistruttivo. I muri invisibili sono i più difficili da abbattere.
(di Marcello Veneziani)
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