La canonizzazione è l'atto formale conclusivo, di natura canonica e liturgica, con il quale la Chiesa cattolica, dopo un'attenta escussione delle fonti e delle prove cui chiunque può liberamente accedere come testimone - una vera e propria inchiesta istruttoria - dichiara che qualcuno è con certezza nella Gloria di Dio, e come tale degno di venerazione in quanto, appunto, "santo": nel dichiarare un santo, secondo il dogma cattolico, la Chiesa è assistita da una speciale grazia dello Spirito Santo ed è pertanto infallibile. L'infallibilità è prerogativa eccezionale che la Chiesa rivendica a se stessa in pochissimi casi: quando il papa parla ex cathedra, quando il Sacro Collegio proclama un dogma, quando viene appunto canonizzato un santo e in genere - come si esprime il Concilio Vaticano II - "il collegio episcopale quando, in comunione con il vescovo di Roma, converge su una decisione definitiva in materia di fede e di morale".
Chi si professa cattolico, non può porre in dubbio l'infallibilità del papa e del collegio episcopale nei pochissimi casi in cui il dogma lo prescrive: e il dogma, al pari di un postulato matematico, è indimostrabile, indiscutibile e irrefutabile. Su ciò, bisogna essere molto chiari. I cattolici sono tenuti a rispettare il dogma: chi non lo fa, non può più dirsi cattolico; chi cattolico non è, non viene minimamente toccato dalla questione dogmatica, poiché egli legittimamente nel dogma non crede ed esso non lo riguarda.
La Chiesa italiana viene spesso accusata di "ingerenza" nelle questioni della società civile: e non si capisce perché, dal momento che sono i prelati, i sacerdoti e i fedeli appunto italiani, e in quanto cittadini, a discutere di cose italiane, come hanno il pieno diritto e il dovere civico di fare. Al contrario, non si capisce proprio con quale diritto dei non-cattolici - siano essi dei cittadini "laici", come si usa dire, o degli aderenti ad altre confessioni cristiane o ad altre fedi religiose - possano sentirsi in diritto d'interloquire sulla scelta dei santi cattolici, processo riguardante esclusivamente la Chiesa e che si svolge secondo princìpi e metodi che le sono propri ed esclusivi. Nel 1963 lo scrittore tedesco Rolf Hochhut mise in scena un dramma, Il vicario, nel quale - riprendendo accuse già formulate da Camus e da Mauriac - egli accusava duramente Pio XII di non essere intervenuto con sufficiente energia per impedire, o almeno per denunziare, il genocidio compiuto dai nazisti nei confronti degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Al riguardo, le polemiche non sono mai cessate. Allora, essi furono sostenute in Italia da ambienti che non avevano mai digerito la ferma condanna, da parte di papa Pacelli, dell'ateismo comunista (che era coerente con la linea dell'enciclica Divini Redemptoris del suo predecessore Pio XI). Oggi, significativamente, il dramma di Hochhut e le vecchie polemiche contro il Pastor angelicus vengono riprese. Il Teatro Filodrammatico di Milano ha rimesso in scena Il vicario, e Hochhut si è fatto sentire per dichiarare che, se dovesse riscriverlo oggi, calcherebbe ancora di più la mano in quanto persuaso dell'"antisemitismo" del pontefice. La Chiesa, gli studiosi cattolici, l'opinione pubblica hanno parlato abbastanza di tutto questo. Non c'è più da dar ascolto a polemiche interessate, a voci in malafede, a dichiarazioni strumentali.
Ma la parola spetta solo agli organismi ecclesiali preposti all'esame dei fatti e delle prove: se essi riterranno infondato il parere di chi sostiene ancora che Pio XII non s'impegnò abbastanza in favore dei perseguitati, o che peggio ancora fu complice obiettivo della persecuzione, e riterranno quindi che anche in quel caso Pio XII esercitò "in grado eroico" le virtù cristiane, lo eleveranno alla Gloria degli Altari. Tale la prerogativa esclusiva e insindacabile della Chiesa. A quel punto, le proteste saranno solo un vano tentativo d'intimidazione e d'ingerenza; e chi protesterà sarà fuori dalla Chiesa. Non c'è altro da aggiungere.
(di Franco Cardini)
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