Mentre le televisioni di tutto il mondo, persino quella italiana, mostrano un video-choc risalente al 2007, iracheno, dove si vede come i rambo americani, al sicuro sui loro bombardieri, abbiano il grilletto facile e gli basti scambiare un reporter della Reuter con una cinepresa in mano per un insorto e fare una strage uccidendo una dozzina di persone, fra cui due bambini, cose di questo genere, e peggiori, sono all’ordine del giorno in Afghanistan ma passano sotto silenzio, o nascoste nelle pagine più interne dei giornali.
Non solo perché non vi sono coinvolti occidentali, ma perché l’Afghanistan è un Paese remoto e gli afgani, non essendo nemmeno arabi, non hanno santi in paradiso per cui se ne può fare carne di porco. Il 12 febbraio a Gardez, nell’est dell’Afghanistan, i reparti dell’American Special Operation Force, in uno dei consueti raid, hanno ucciso tre donne, due delle quali, madri di dieci e di sei figli, incinte. Poi hanno cercato di far sparire le tracce del loro eccidio e di attribuirlo agli afgani, affermando che «le tre donne, legate e imbavagliate, nascoste in una stanza», erano state uccise qualche ora prima del blitz.
La balla era così spudorata che persino la polizia afgana, di solito di manica larghissima con gli americani, ha dovuto smascherarli. Gli americani sono stati costretti ad ammettere «È stato un incidente. Ce ne scusiamo».
Di questi «incidenti» ne accadono ogni giorno in Afghanistan. Da quando, un paio di mesi fa, il comandante in capo delle forze alleate, Stanley McChristal, ha annunciato la nuova strategia, il «Surge», che nessuno capisce cosa sia tranne che dovrebbe evitare di colpire i civili, per non alimentare il montante odio degli afgani contro gli occupanti, ne sono stati uccisi una cinquantina. E parliamo solo delle notizie che sono filtrate fino a noi.
Sfoglio i miei ritagli. «Spari sulla folla, è strage. Rivolta in piazza a Kabul» (30/5/2006); «Bombe sulle case, strage di civili in Afghanistan» (27/10/2006); «Afghanistan, nuove vittime civili» (28/10/2006); «Massacro di civili dopo l’imboscata agli Usa» (5/3/2007); «Afghanistan, raid Nato. Tra le vittime 45 civili» (2/7/2007); «Afghanistan, gli italiani sparano. Decapitata una bimba di 12 anni» (13/2/2008); «Strage in Afghanistan. Le scuse dell’America» (7/5/2009); «Afghanistan, attacco Nato. Strage di talebani e civili» (5/9/2009); «Afghanistan, colpiti bambini di 5 anni» (10/2/2010); «Afghanistan, nuova strage di civili» (23/2/2010). Devo continuare? E questo non è che un florilegio del materiale da me raccolto e una parte infinitesima di ciò che è accaduto nei nove anni di occupazione occidentale.
La situazione è talmente compromessa che il presidente Karzai, la cui sopravvivenza dipende dalla presenza delle truppe Nato, ha dichiarato in una conferenza stampa: «Gli americani lavorano perché il conflitto continui per poter continuare ad occupare il Paese. Se va avanti così diventerò alleato dei Talebani». Un simile azzardo da parte di Karzai vuol dire una sola cosa: che i Talebani stan vincendo la partita, non sul piano militare, dove la sproporzione tecnologica è enorme, ma perché ormai è passata dalla loro parte pressoché l’intera popolazione afgana, anche quella parte che prima li detestava e li aveva combattuti. E noi italiani? Fino a quando intendiamo rimanere complici di una mattanza quotidiana che non ha più alcuna ragion d’essere, se mai ne ha avuto una?
(di Massimo Fini)
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