domenica 12 settembre 2010

Un presidente forte, va cambiata la Carta


Quant’è bella la Costituzione, e quant’è carina sua figlia, la democrazia parlamentare. Fini l’ha indossata in video, sfilando con la Carta in mano, i grandi saggi della Repubblica italiana, da Sartori a Zagrebelsky, l’agitano ogni giorno contro il Tiranno; la stampa e la nomenklatura inneggiano ogni giorno a mamma e figlia. Venerdì ero al Festivaletteratura di Mantova e ho ascoltato l’ex presidente della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky. Introdotto dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, prudente e signorile com’è il suo stile, il Professore ha difeso l’immortalità e l’immodificabilità della Costituzione contro la diagnosi di vecchiaia e la terapia di modificarla. E ha sostenuto che l’unica vera democrazia è quella parlamentare, rappresentativa, mentre la democrazia diretta o presidenziale non è una democrazia ma un’investitura autoritaria dall’alto, col popolo che si limita a dir di sì.

La convinzione del Professore è la sintesi autorevole di quel che ci ripetono ogni giorno i Maestri Cantori della Conservazione, studiosi, giornali, politici. Ora è comprensibile e anche rispettabile che si difenda l’immutabilità della Costituzione e la preferenza per la democrazia parlamentare. Ma è inaccettabile che chi preferisce la democrazia presidenziale e chiede la revisione di alcuni articoli, non principi ma applicazioni storiche, della Costituzione, debba passare per un eversore, un tifoso della dittatura. Qui, anziché salire nei piani alti delle dottrine giuridiche e costituzionali, bisogna al contrario scendere alla scuola dell’obbligo e affacciarsi sulla vita reale. È falsa e pure devastante la convinzione che l’unica, vera democrazia sia quella rappresentativa: è falsa perché la più grande democrazia occidentale, gli Stati Uniti, è una repubblica presidenziale. E la democrazia più vicina a noi, patria dei diritti umani e della libertà e dell’uguaglianza, la Francia, è una repubblica semi-presidenziale. E il Paese di più antica democrazia, l’Inghilterra, non ha una repubblica presidenziale solo perché c’è la monarchia. Dunque la tesi è falsa. Ed è pure devastante perché anziché elevare il livello del dialogo sulla riforma, cercando di passare dalla boutade e l’insulto al confronto, squalifica a priori la tesi opposta che pure è condivisa dalla «trascurabile maggioranza degli italiani». I professori che sostengono questa visione manichea si assumono una grave responsabilità perché scavano un fossato incolmabile anziché portare a rigore un confronto tra due idee diverse di democrazia. La democrazia presidenziale favorisce la deriva populista? Il problema però è che il rovescio del populismo non è la democrazia liberale ma il dominio delle oligarchie e il primato dell’indecisionismo.

L’elezione diretta ha il vantaggio di favorire una democrazia responsabile in cui chi decide risponde al popolo sovrano e non alle oligarchie o ai partiti. Anche se il suo rovescio, ne convengo, è la crescita della demagogia e della semplificazione. Viceversa nella democrazia delegata chi comanda è al buio, non risponde direttamente del suo operato, esprime poteri deboli in continuo negoziato tra loro. E questo genera una democrazia controllata dalle oligarchie, dagli interessi più forti, e favorisce l’avvento delle caste. Ma non mi sognerei mai di dire che la democrazia rappresentativa non sia una vera democrazia, non giudico un sistema politico dalle sue degenerazioni; dico che dovendo scegliere, considerando l’esperienza della storia e della nostra in particolare, preferisco il modello di democrazia presidenziale, decisionista e responsabile a quello della democrazia parlamentare e delegata.

Questo comporta inevitabilmente di modificare la Costituzione. Premetto: la Costituzione non solo va rispettata, ma merita di essere condivisa. La nostra è una bella Costituzione; scritta anche bene, diceva ieri De Bortoli. Certo, nasce dal compromesso tra la cultura cattolica, la cultura laico-liberale e la cultura socialista-marxista. Ma rifletteva la reale composizione del Paese e nei suoi principi occhieggia anche a un ospite in ombra; la cultura della nazione e dell’umanesimo del lavoro, della terza via rispetto al marxismo e al capitalismo; cioè quella cultura che era diventata impronunciabile perché evocava l’esperienza del fascismo, il pensiero di Giovanni Gentile, l’amor patrio e il modello sociale italiano. Per la stessa ragione non era possibile pensare allora, in un Paese appena uscito dal fascismo e dalla monarchia, ad una democrazia presidenziale con una forte leadership. Ma la Costituzione non è una mummia, non fu dettata sul Monte Sinai, vive nella storia, è suscettibile di modifiche nella sua parte applicativa.

Sul piano dei principi e delle culture civili, esistono due modelli di patriottismo: il patriottismo della Costituzione, di chi crede che il patto costituzionale e la carta siano il fondamento della cittadinanza e della democrazia. E il patriottismo della tradizione di chi invece ritiene che il fondamento civile di un Paese, la fonte del legame civile e istituzionale siano la storia, la cultura, la lingua, gli usi, i costumi, la religione civile, l’esperienza di un Paese, come pensava ad esempio Edmund Burke. Sono due idee rispettabili e divergenti di democrazia: chi crede nel patriottismo della tradizione non nega il valore della Costituzione, però pensa che le carte esprimano patti e regole da rispettare ma non abbiano la forza di rendere coesi popoli, nel disegno di una democrazia comunitaria. È legittimo dissentire da questa idea di democrazia ma non è giusto squalificarla come una scorciatoia autoritaria.

In coda lasciatemi occupare delle miserie umane. Dopo aver costruito una carriera sulla democrazia presidenziale, Fini si barrica dietro la Costituzione per sopravvivenza personale. Penoso, ma più penosi sono i foglietti finiani che si adeguano al loro capo, cambiano pure loro opinione e si scoprono difensori della democrazia parlamentare e magari della partitocrazia. Capisco, devono campare. Ma trovo avvilente che accusino viceversa chi è rimasto coerente a quell’idea di democrazia responsabile, decisionista e comunitaria con una leadership forte, eletta direttamente dal popolo, come asserviti a Berlusconi. Quell’idea, ve lo ricordo, piaceva a Schmitt, a De Gaulle e alla destra, piaceva ad Almirante e a Fini prima che entrasse nella Camera oscura. Non sapete cosa siano la libertà e la coerenza e non riuscite a uscire dall’alfabeto della servitù.

(di Marcello Veneziani)

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