Oltre a una generica condanna all’insegna della par condicio – non al terrorismo (di qualunque origine), all’antisemitismo, alla cristianofobia e all’islamofobia – il Sinodo sul Medio Oriente, dopo due settimane di serrato dibattito interno, ha riservato nel documento finale una bordata senza precedenti a Israele per la sua politica di occupazione.
«Non è permesso di ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne uno strumento a giustificazione delle ingiustizie».
Dietro questa frase è sintetizzata la posizione filo palestinese manifestata dalla maggioranza dei vescovi mediorientali che hanno preso parte ai lavori assembleari in Vaticano. Monsignor Bustros, arcivescovo dei greco-melkiti, presidente della commissione sinodale per il messaggio finale, si è fatto portavoce del sentimento generale spiegando che «la terra promessa è tutta la terra. E che non vi è un popolo scelto. Non ci si può dunque basare sul tema della terra promessa per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e l’esilio dei palestinesi».
In buona sostanza «è chiaro, per noi cristiani, che non si può giustificare il ritorno degli ebrei e la espulsione dei palestinesi». A titolo di chiarimento ha anche puntualizzato che si «sono portati 4 o 5 milioni di ebrei in Palestina e, al contempo, sono stati cacciati 3 milioni di palestinesi dalle terre in cui avevano vissuto per 1600 anni»..
Di conseguenza «si tratta di una mera questione politica, ecco perchè non bisogna basarsi sulla Sacra Scrittura per giustificare l'occupazione da parte di Israele nella terra palestinese».
Ma i cristiani si arrovellano per capire quale sarà il loro futuro in Medio Oriente, consapevoli di essere stretti tra l’incudine (Israele) e il martello (l’estremismo religioso di matrice islamica). Sicché durante il Sinodo è risuonato più volte un interrogativo angosciante: come contenere l’emigrazione? «Noi vogliamo offrire all’Oriente e all’Occidente un modello di convivenza tra le differenti religioni e di collaborazione positiva tra diverse civiltà, per il bene delle nostre patrie e quello di tutta l’umanità», viene assicurato nel testo del messaggio finale. Sanno che la pace potrà arrivare solo col rispetto della legalità internazionale,a cominciare dalle risoluzioni dell’ONU, troppo spesso disattese.
«La soluzione dei due Stati diventi una realtà e non resti un semplice sogno». Un auspicio al quale si è associato il forte appello alla Comunità Internazionale affinché lavori «sinceramente a una soluzione di pace giusta e definitiva, attraverso l’applicazione delle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, soprattutto per mettere fine all’occupazione dei differenti territori arabi». Il Sinodo spinge perché Israele torni a rispettare i confini che aveva nel 1967. «Il popolo palestinese potrà così avere una patria indipendente e sovrana e vivervi nella dignità e nella stabilità. Al contempo lo Stato di Israele potrà godere della pace e della sicurezza all’interno delle frontiere internazionalmente riconosciute».
I timori dell’assise sinodale si sono poi rivolti al futuro di Gerusalemme, capitale contesa da israeliani e palestinesi. «Siamo preoccupati delle iniziative unilaterali che rischiano di mutare la sua demografia e il suo futuro».
(di Franca Giansoldati - http://www.ilmessaggero.it/)
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