domenica 14 novembre 2010

Fabio Fazio, fenomenologia di un presentatore


ALLORA: «BELLEZZA MODESTA». E su questo ci siamo, perfino molliccia e goffa è la sua immagine, adorna com’è di peletti prepuberali. Poi: «sex appeal limitato». E su questo è meglio sorvolare. Quindi, un «gusto discutibile». Quanto a cravatte, per dire, eguaglia un Gianfranco Fini. E, infine, una «certa casalinga inespressività». Anche su questo il parametro si parametra. Sembra sempre sul punto di porgere lo stantuffo per sturare il lavandino, ma col gesto eroico di chi vuol celare l’affondo di una spada, la famosa Durlindana del culturalismo da pisello piccolo, non aggressivo. Abbiamo elencato le categorie identificative dell’everyman, l’uomo assolutamente medio, teorizzato nel 1961 da Umberto Eco a proposito di Mike Bongiorno, e siccome non ci mancano certo le corna, certi di fare un piccolo dispetto che mai e poi mai il grande semiologo vorrebbe adesso fare a chi lo rannuvola d’incenso, queste stesse categorie, giusto a distanza di molti anni (un’era fa), le abbiamo appena prima sovrapposte all’italiano degli italiani di oggi, al campione assoluto della furbizia pop, ovvero il signor F, Fazio Fabio.

Tutte «le virtù morali e intellettuali in grado medio» del Mike di ieri ancora oggi, sempre secondo la lectio di Eco, si replicano nel cerimoniere di Che tempo che fa e Vieni via con me. E il teorema, in bella forma, sull’uomo idolatrato da milioni di persone – quello che così recita: «Deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere trasmette una mediocrità assoluta e un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costrizione o finzione scenica» – vale ieri come oggi, ed ebbe valore per Mike come adesso per questo straordinario presentatore, giustamente pagato 2 milioni di euro l’anno, su cui lo spettatore italiano vede glorificato il ritratto del proprio limitato orizzonte etico ed estetico.

Il professore Eco non ci concederebbe mai l’avallo di una simile sovrapposizione iconica, ovvero un Fazio Fabio in luogo di un Rischiatutto. Avendo però nel frattempo rivalutato Mike Bongiorno, potrebbe magari perdonarci, perché elevare le virtù in grado medio dell’everyman al canone del civismo pedagogico, a quella paideia fatta di Costituzione e generico ambientalismo (così come di generico femminismo, generica filantropia e generica sinistrina è fatta l’opinione pubblica media dell’italiano medio) è un capolavoro dell’acchiappacitrulli niente male.

È la banalità di sinistra che coincide con la banalità nazionale. Non è un qualcosa di traducibile nella scheda elettorale e nessuno si meravigli se adesso lo proponiamo noi il teorema nel considerare l’italiano medio ovviamente di sinistra, anzi, di sinistrina. Quelle massaie che vedono Rete 4, infatti, sono le stesse che poi si sintonizzano su Raiuno o su Raidue, dove nella palude postprandiale non mancano le commoventi ed edificanti morali omosessualiste, le prediche slowfood, gli anatemi solidaristi.

Ed è per questo che il furbissimo Fazio Fabio, italiano medio, riesce a camuffare perfino Belzebù, se nella prima puntata di Vieni via con me butta in mezzo alla scena una suorina giusto per prendere al laccio chiunque, perfino uno smaliziato come Giovanni Valentini che, su Repubblica, esalta la «tv civile fatta con la giovane precaria, il pensionato e la suora impegnata nel sociale». Nessuno che abbia informato Valentini e lo spettatore della cruda e poetica identità della suorina: Giuliana Galli, potentissima vicepresidente della Compagnia di San Paolo, legata alla Banca Intesa, praticamente un banchiere.

Banalità di sinistra amplificate dalla granitica immobilità del – e citiamo ancora Eco – tipico «aristotelico per difetto», quello per cui A è uguale ad A e «tertium non datur». Quello che non fa ridere quando viene detto da Silvio Berlusconi trova, al contrario, la propria impennata comica con Roberto Benigni. Lo stilema è lo stesso, l’operazione è uguale, tutti e due fanno fare all’incolpevole Rosy Bindi la figura della racchia, ma si sa: Benigni e Berlusconi possono ballare insieme. Solo che l’uomo medio di sinistra questo non lo sa, anzi, non vuole saperlo.

Al tempo del Mike, la tv non era ancora diventata il cuscino trapuntato di colte sfumature, quello che è Fazio Fabio, cuscino di pregiate natiche. Come possiamo non fare ancora un parallelo tra il Bongiorno di allora, stigmatizzato da Eco, servile verso i miti del proprio tempo («Alla signora Balbiano d’Aramenga bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa (sic)»), e la stucchevole intervista a madame Carla Bruni del signor Fazio Fabio?

Pregiate natiche, si diceva. Cui dedicare l’ammicco, il gesto ruffiano, quel far sempre finta di mettere da parte la politica, e se qualcuno fa una battuta per buttarla in politica, Fazio Fabio fa la finta di essere sopraffatto, come quando ogni volta che Luciana Littizzetto dice «culo» lui fa la faccia di quello travolto dalla parola culo. Imperdibile, a questo proposito (nel senso del sentirsi sopraffare, per carità), l’incontro con Giulio Tremonti.

E fa finta di essere nel pieno della cultura il Fazio Fabio, ma ancora una volta con quella preterizione della grammatica tv già collaudata nella Fenomenologia di Mike Bongiorno: «Mi di-ca un po’, si fa tanto parlare oggi di questo futurismo» ripete lo schema, come quando smozzica la domanda, un po’ per volta per fare la finta dell’educato conduttore.

La cultura è come il sesso, non si dice quando si fa, ma se il tanto vituperato Augusto Minzolini si mette alle spalle la Treccani, Fazio Fabio, che è furbo, fa un’operazione più sapiente e si circonda solo di gente che cita a orecchio libri mai letti. E hanno voglia, perciò, gli italiani medi, a immedesimarsi nel classico genere di sinistrina del mangiare pulito, dell’usare poco il telefonino e dell’ammorbidire l’animo dell’uomo con la musica di Claudio Abbado, come se la musica fosse una cosa di sinistra e non un neutro assoluto. Come Mike Bongiorno, anche Fazio Fabio dimostra «sincera e primitiva ammirazione per colui che sa».

A partire da L’Orecchiocchio, un programma di Raitre dell’era precedente ad Angelo Guglielmi di Mario Colangeli dove con Fazio Fabio emergevano Lella Costa e un delizioso Daniele Luttazzi, presentato nei corridoi di viale Mazzini come «consigliere comunale della Dc, area dorotea», tutte le trasmissioni del nuovo Mike fino al suo geniale Sanremo (l’aggettivo però riguarda Agostino Saccà che ebbe l’idea di metterlo lì) hanno sempre avuto questa dogmatica del valore medio e del luogo comune travestito dal fuori del comune. Se possiamo azzardare un’eresia rispetto alla lettura ortodossa di Eco cui ci siamo costretti, con Fazio Fabio, rispetto a Mike, avanza un René Magritte in piena regola. Con i suoi Renato Dulbecco a Sanremo, infatti, sembrava strappare una supplica. E perciò: «Questa non è una pipa». E dunque: «Questo non è un presentatore». A tenere il pennello in mano, quella volta, era Saccà, adesso che il pizzetto di Fazio Fabio è sempre di più un’epifania della sinistra.

A volte fa un mestiere non suo, l’intervistatore professionista, come con Sergio Marchionne, a volte sonnecchia nel suo essere metodico, quasi un ordinato compilatore di fogli protocollo in una giornata di compito in classe. In ogni sua apparizione però mantiene la promessa di una personalità assolutamente servizievole, sa, infatti, farsi spalla su cui far scivolare la grandezza del suo eventuale ospite.

Senza le asperità del diverso. Alla Mondadori, divisione libri, dove pure lo venerano tanto fa fare soldi con i libri, democraticamente corretti, presentati di volta in volta, ancora adesso non sono riusciti a fargli invitare Antonio Pennacchi (di cui teme le invettive da comunista, sia chiaro) e rischia perfino di risultare ingrato il Fazio Fabio, lui così morbido, lui che dovrebbe apprezzare quello che disse e ripete sempre Gian Arturo Ferrari, ex direttore generale della divisione Libri del Gruppo Mondadori: «Non si sente alcun bisogno di fare in Italia Apostrophe (il sofisticato programma francese dedicato ai libri, ndr). Abbiamo già la più bella trasmissione di libri ed è Che tempo che fa». Senza le asperità, senza il minimo sospetto di una funzione critica. Questo si chiedeva a suo tempo a Mike, questo offre oggi Fazio Fabio che, come Bongiorno, è solo un posto mancato di senatore a vita. Quando con Roberto Saviano hanno duettato sul «vado via dall’Italia perché» e sul «resto in Italia perché», hanno copiato Ficarra e Picone nel celebre e poetico rimbalzo «mi vergogno di essere siciliano perché» e «sono fiero di essere siciliano perché», poi hanno invitato Nichi Vendola a fare l’elenco insultante di 32 modi di dire omosessuale.

Se Fazio Fabio non fosse dunque furbo, e se Berlusconi avesse voglia di essere spiritoso, dovrebbe prenotarsi in scena, nella prossima puntata, e davanti a Saviano e Fazio Fabio recitare tutti i modi in cui viene insultato: Al Tappone, Berluskaiser, Berluscaz, Nano e così via di Banana e Banana. Ma finirebbe che verrebbe giù tutta la Fenomenologia. E al professore Eco ne deriverebbe l’obbligo di scrivere un aggiornamento.

(di Pietrangelo Buttafuoco)

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