Tra le tante definizioni che si potrebbero applicare alla simil-destra rappresentata da Fli ce n'è una che certamente la qualifica meglio di qualsiasi altra: destra incostituzionale. Neppure la “vera” destra missina è mai stata liquidata in tal modo. E, per quanto Almirante venisse tenuto fuori dal famigerato “arco costituzionale”, al suo partito è sempre stata riconosciuta, anche dagli avversari più intransigenti, una correttezza istituzionale addirittura esemplare, esercitando l'opposizione nel perimetro delle regole democratiche e parlamentari. Non credo si possa dire la stessa cosa per l'ultima caricatura della destra. Tanto alla luce del discorso umbro e umbratile di Fini che delle dichiarazioni dei suoi pasdaran, è facile ritenerla una destra apertamente antisistema. Legge del contrappasso? E' accaduto altre volte che si è fatto “custode” della Costituzione, magari involontariamente o per eccesso di zelo (ma non è il caso dei finiani) l'ha tradita nei fatti.
Esaminando le ultime scorribande di Fli e del suo leader, balza evidente la contraddizione tra le intenzioni e la prassi. Un'aporia, avrebbero detto i vecchi marxisti, determinata dal confusionismo politico di questa fragile creatura a-ideologica. Fini, da presidente della Camera, ha invocato l'apertura di una crisi di governo extraparlamentare, quando il ruolo che ricopre avrebbe dovuto consigliargli l'esatto contrario e cioè la parlamentarizzazione della crisi stessa, come facevano i suoi predecessori nella prima Repubblica, quando i governi cadevano grazie ad imboscate congressuali o correntizie. Registriamo perciò un ritorno al passato, alla riesumazione dei metodi partitocratici i più nocivi al corretto svolgimento della dialettica istituzionale.
Dialettica peraltro minata dal doppio ruolo di Fini, terza carica dello Stato e capo di un partito nato da una scissione parlamentare pilotata da lui stesso. Sicché, paradossalmente, se dovesse essere convocato dal presidente della Repubblica in vista dello scioglimento delle Camere avrebbe una duplice veste e come tale potrebbe dire una cosa e sostenerne poi un'altra: chi non vede l'anomalia e semplicemente cieco. La confusione dei ruoli in democrazia, come insegnava Tocqueville, è l'anticamera della decomposizione della rappresentanza popolare. Ma anche l'atto di sottomissione da parte di un ministro, di un vice-ministro e di due sottosegretari al capo del loro partito, rassegnando nelle sue mani le dimissioni (salvo poi congelarle chissà per quanto, ma questo attiene alla pochade non alla politica), è un trattamento di incostituzionalità difficilmente confutabile. Oltre che riconoscere la prevalenza del partito sulle istituzioni, è stato un gesto detonante inconsce pulsioni di subalternità alla sola autorità riconosciuta, quella del leader che li ha designati a ricoprire delicati ruoli che afferiscono alla conduzione della cosa pubblica. Non sappiamo se il Capo dello Stato, nella sua qualità di legittimo custode della Costituzione, abbia avuto qualcosa da eccepire al riguardo. Certo, non sarà stato felice di vedersi messo da parte da chi svolge funzioni istituzionali riconducibili soltanto a lui e al capo del governo, soggette peraltro al controllo parlamentare.
Tutto questo, unitamente al benservito dato dal presidente della Camera al presidente del Consiglio (non ci sono analoghi precedenti nella storia politica occidentale a tale riguardo), stride in maniera evidente con l'etica repubblicana ed il patriottismo costituzionale ossessivamente evocati da Futuro e libertà. Così come non mi sembra che distinguersi con voti di poco conto in Parlamento dal resto della maggioranza, appoggiando emendamenti e mozioni della sinistra, pur restando formalmente nel centrodestra, faccia parte di quel senso di responsabilità che è risuonato retoricamente a Bastia Umbra. I finiani si comporteranno in questo stesso modo quando tra qualche giorno saranno chiamati a votare il bilancio dello Stato ed il patto di stabilità su cui, probabilmente, il governo non porrà la fiducia? Non credo. E non perché il presidente Napolitano li abbia già catechizzati al riguardo, ma per non doversi trovare da un momento all'altro di fronte al baratro delle elezioni anticipate e davanti all'inevitabile esercizio finanziario provvisorio: una catastrofe dalla quale nessuno li assolverebbe.
Insomma, il solo patriottismo che riscontriamo in Fli è quello partitocratico: invece di dare sostanza alla ricerca del bene comune, preferisce dedicarsi alla demolizione di ciò che gli elettori hanno costruito. Non è un risultato encomiabile per chi ha immaginato “una certa idea dell'Italia” e soltanto poco più di un anno fa, con entusiasmoo acritico (e già questo avrebbe dovuto insospettire) esaltava il Pdl ed i co-fondatori come elementi della rinascita nazionale.
(di Gennaro Malgieri)
Esaminando le ultime scorribande di Fli e del suo leader, balza evidente la contraddizione tra le intenzioni e la prassi. Un'aporia, avrebbero detto i vecchi marxisti, determinata dal confusionismo politico di questa fragile creatura a-ideologica. Fini, da presidente della Camera, ha invocato l'apertura di una crisi di governo extraparlamentare, quando il ruolo che ricopre avrebbe dovuto consigliargli l'esatto contrario e cioè la parlamentarizzazione della crisi stessa, come facevano i suoi predecessori nella prima Repubblica, quando i governi cadevano grazie ad imboscate congressuali o correntizie. Registriamo perciò un ritorno al passato, alla riesumazione dei metodi partitocratici i più nocivi al corretto svolgimento della dialettica istituzionale.
Dialettica peraltro minata dal doppio ruolo di Fini, terza carica dello Stato e capo di un partito nato da una scissione parlamentare pilotata da lui stesso. Sicché, paradossalmente, se dovesse essere convocato dal presidente della Repubblica in vista dello scioglimento delle Camere avrebbe una duplice veste e come tale potrebbe dire una cosa e sostenerne poi un'altra: chi non vede l'anomalia e semplicemente cieco. La confusione dei ruoli in democrazia, come insegnava Tocqueville, è l'anticamera della decomposizione della rappresentanza popolare. Ma anche l'atto di sottomissione da parte di un ministro, di un vice-ministro e di due sottosegretari al capo del loro partito, rassegnando nelle sue mani le dimissioni (salvo poi congelarle chissà per quanto, ma questo attiene alla pochade non alla politica), è un trattamento di incostituzionalità difficilmente confutabile. Oltre che riconoscere la prevalenza del partito sulle istituzioni, è stato un gesto detonante inconsce pulsioni di subalternità alla sola autorità riconosciuta, quella del leader che li ha designati a ricoprire delicati ruoli che afferiscono alla conduzione della cosa pubblica. Non sappiamo se il Capo dello Stato, nella sua qualità di legittimo custode della Costituzione, abbia avuto qualcosa da eccepire al riguardo. Certo, non sarà stato felice di vedersi messo da parte da chi svolge funzioni istituzionali riconducibili soltanto a lui e al capo del governo, soggette peraltro al controllo parlamentare.
Tutto questo, unitamente al benservito dato dal presidente della Camera al presidente del Consiglio (non ci sono analoghi precedenti nella storia politica occidentale a tale riguardo), stride in maniera evidente con l'etica repubblicana ed il patriottismo costituzionale ossessivamente evocati da Futuro e libertà. Così come non mi sembra che distinguersi con voti di poco conto in Parlamento dal resto della maggioranza, appoggiando emendamenti e mozioni della sinistra, pur restando formalmente nel centrodestra, faccia parte di quel senso di responsabilità che è risuonato retoricamente a Bastia Umbra. I finiani si comporteranno in questo stesso modo quando tra qualche giorno saranno chiamati a votare il bilancio dello Stato ed il patto di stabilità su cui, probabilmente, il governo non porrà la fiducia? Non credo. E non perché il presidente Napolitano li abbia già catechizzati al riguardo, ma per non doversi trovare da un momento all'altro di fronte al baratro delle elezioni anticipate e davanti all'inevitabile esercizio finanziario provvisorio: una catastrofe dalla quale nessuno li assolverebbe.
Insomma, il solo patriottismo che riscontriamo in Fli è quello partitocratico: invece di dare sostanza alla ricerca del bene comune, preferisce dedicarsi alla demolizione di ciò che gli elettori hanno costruito. Non è un risultato encomiabile per chi ha immaginato “una certa idea dell'Italia” e soltanto poco più di un anno fa, con entusiasmoo acritico (e già questo avrebbe dovuto insospettire) esaltava il Pdl ed i co-fondatori come elementi della rinascita nazionale.
(di Gennaro Malgieri)
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