Il male affascina. Da sempre. Forse da quando Eva morse la mela. Il male è la sirena di Ulisse, che incanta, seduce e incatena. E se al male si coniuga la genialità, le persone maledette affascinano, conquistano... Cosa rende un personaggio «maledetto»? L'eccesso, la trasgressione, la sregolatezza, l'amicizia con il «diavolo», l'attrazione per le sfide e i rischi, la ribellione mai la rivoluzione...
Gli impulsi sopiti dentro ognuno di noi che ci attraggono irresistibilmente verso il lato oscuro ma che la nostra buona educazione manichea ci vieta di ascoltare, seguire, imitare. «I maledetti» (Vallecchi, pag. 190) svela il segreto del fascino esercitato in ogni epoca dai «maudit» superando ogni luogo comune: le stravaganze, le angosce, le passioni che animano queste tormentate esistenze. Ne emergono venti ritratti di personaggi estranei alla vita normale, ai limiti della follia, che hanno in comune una volontà distruttrice, un'attrazione viscerale per il male al quale, con passione, si consacrano. È il fascino del maledetto che unisce Caravaggio a Céline, Gainsbourg a Van Gogh, Nietzsche ai Rolling Stones, Verlaine a Evola, La Rochelle a Kinski, Wilde e Rimbaud...
Personaggi che appartengono a periodi storici così lontani e diversi ma che con la loro tormentata esistenza da sempre esercitano un'irresistibile attrazione. Come sottolinea Giuseppe Scaraffia nella sua introduzione «Non possiamo fare a meno di venerare chi ha cercato quello che noi evitiamo, chi ha sentito il fascino di quel che ci fa rabbrividire e l'ha accanitamente cercato, fino a perdersi». Ad accompagnarci in questa galleria di «vite verso l'inferno» grandi firme del giornalismo italiano come Marcello Venenziani, Marina Valensise, Andrea Di Consoli, Camillo Langone, Paolo Bianchi, Umberto Cecchi, Mattia Ferraresi, Bruno Giurato, Antonio Gurrado, Massimiliano Lenzi, Manuela Maddamma, Giordano Tedoldi. Caravaggio, secondo Mattia Ferraresi, è un «dannato redento» la cui vita è fatta di stravaganza, irrequietezza che sfocia in eccessi d'ira, tic criminali, che sapeva ben usare la spada, l'insulto sbrigliato e le donne. E con una ossessione: la realtà.
L'imitazione dal vero è il centro propulsore della sua arte, segno indelebile della sua rivoluzione passatista. Klaus Kinski con il suo viso marcato, belluino, inciso da ombre, non amava sentirsi rivolgere complimenti per la sua arte attoriale. Scrive Manuela Maddamma: «Egli si riteneva non un talento, meno che mai un grande attore, lui era convinto di essere un genio, di avere un dono innato, quella che la critica scambiava per professionalità teatrale era invece il suo essere naturale».
«Il mistero di Julius Evola, ultimo autore maledetto - scrive Marcello Veneziani - Credo che il fascino persistente sia proprio il suo radicale, aristocratico isolamento, la sua apertura ai saperi esoterici, la sua visione spirituale e trascendentale, ma senza il conforto di una fede religiosa. L'aura misteriosa che lo circonda, l'alone magico e fascinatore di una figura e di una biografia fuori dal comune».
Nicolò Paganini era un tale virtuoso del violino che la sua irripetibile bravura fu attribuita a un patto col diavolo, secondo il sulfureo ritratto che ne fece Goethe. Del musicista genovese, scrive Bruno Giurato ci piace più questa versione che non quella dottorale che descrive un Paganini uomo molto talentuoso, furbo in affari e ingenuo in amore e molto malato. Un violinista capace di far sentire «il volo delle streghe» e che morì «empio».
Genio e sregolatezza è il binomio che rende l'artista indimenticabile come sottolinea Scaraffia secondo il quale Byron fu il primo ad intuire quanto «abbinare alla propria opera un'immagine personale avrebbe moltiplicato la forza d'urto del suo messaggio». Ma se Eva fu la prima a farsi sedurre dal male, tra «I maledetti» non c'è neanche una donna. Eppure genio e sregolatezza al femminile non mancano proprio.
(di Sabrina Biraghi)
Gli impulsi sopiti dentro ognuno di noi che ci attraggono irresistibilmente verso il lato oscuro ma che la nostra buona educazione manichea ci vieta di ascoltare, seguire, imitare. «I maledetti» (Vallecchi, pag. 190) svela il segreto del fascino esercitato in ogni epoca dai «maudit» superando ogni luogo comune: le stravaganze, le angosce, le passioni che animano queste tormentate esistenze. Ne emergono venti ritratti di personaggi estranei alla vita normale, ai limiti della follia, che hanno in comune una volontà distruttrice, un'attrazione viscerale per il male al quale, con passione, si consacrano. È il fascino del maledetto che unisce Caravaggio a Céline, Gainsbourg a Van Gogh, Nietzsche ai Rolling Stones, Verlaine a Evola, La Rochelle a Kinski, Wilde e Rimbaud...
Personaggi che appartengono a periodi storici così lontani e diversi ma che con la loro tormentata esistenza da sempre esercitano un'irresistibile attrazione. Come sottolinea Giuseppe Scaraffia nella sua introduzione «Non possiamo fare a meno di venerare chi ha cercato quello che noi evitiamo, chi ha sentito il fascino di quel che ci fa rabbrividire e l'ha accanitamente cercato, fino a perdersi». Ad accompagnarci in questa galleria di «vite verso l'inferno» grandi firme del giornalismo italiano come Marcello Venenziani, Marina Valensise, Andrea Di Consoli, Camillo Langone, Paolo Bianchi, Umberto Cecchi, Mattia Ferraresi, Bruno Giurato, Antonio Gurrado, Massimiliano Lenzi, Manuela Maddamma, Giordano Tedoldi. Caravaggio, secondo Mattia Ferraresi, è un «dannato redento» la cui vita è fatta di stravaganza, irrequietezza che sfocia in eccessi d'ira, tic criminali, che sapeva ben usare la spada, l'insulto sbrigliato e le donne. E con una ossessione: la realtà.
L'imitazione dal vero è il centro propulsore della sua arte, segno indelebile della sua rivoluzione passatista. Klaus Kinski con il suo viso marcato, belluino, inciso da ombre, non amava sentirsi rivolgere complimenti per la sua arte attoriale. Scrive Manuela Maddamma: «Egli si riteneva non un talento, meno che mai un grande attore, lui era convinto di essere un genio, di avere un dono innato, quella che la critica scambiava per professionalità teatrale era invece il suo essere naturale».
«Il mistero di Julius Evola, ultimo autore maledetto - scrive Marcello Veneziani - Credo che il fascino persistente sia proprio il suo radicale, aristocratico isolamento, la sua apertura ai saperi esoterici, la sua visione spirituale e trascendentale, ma senza il conforto di una fede religiosa. L'aura misteriosa che lo circonda, l'alone magico e fascinatore di una figura e di una biografia fuori dal comune».
Nicolò Paganini era un tale virtuoso del violino che la sua irripetibile bravura fu attribuita a un patto col diavolo, secondo il sulfureo ritratto che ne fece Goethe. Del musicista genovese, scrive Bruno Giurato ci piace più questa versione che non quella dottorale che descrive un Paganini uomo molto talentuoso, furbo in affari e ingenuo in amore e molto malato. Un violinista capace di far sentire «il volo delle streghe» e che morì «empio».
Genio e sregolatezza è il binomio che rende l'artista indimenticabile come sottolinea Scaraffia secondo il quale Byron fu il primo ad intuire quanto «abbinare alla propria opera un'immagine personale avrebbe moltiplicato la forza d'urto del suo messaggio». Ma se Eva fu la prima a farsi sedurre dal male, tra «I maledetti» non c'è neanche una donna. Eppure genio e sregolatezza al femminile non mancano proprio.
(di Sabrina Biraghi)
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