giovedì 2 dicembre 2010

Il tempo delle demolizioni è arrivato. Anche la periferia italiana può uscire dal tunnel brutalista


In uno dei momenti più cupi della Storia recente, tra vecchie alleanze che tramontano e nuove che ancora non sono sorte, arriva, finalmente, una speranza per la periferia italiana. Si diffonde ormai ovunque la consapevolezza che il tempo delle periferie brutaliste è finito e iniziano a vedersi i primi segni concreti di una nuova stagione per l’architettura italiana.

Dopo il periodo degli UFO atterrati inconsapevolmente nelle periferie di tutte le città, dopo i bunker nostalgici del Vallo Atlantico e le colate di cemento brutalista che hanno prodotto i poco invidiabili record del Pilastro a Bologna e del Corviale a Roma – qual è il chilometro di cemento più brutale del Reame? – ecco arrivare i primi progetti ispirati a una nuova concezione della città. Una concezione ispirata, nello stesso tempo, alla migliore tradizione dell’architettura urbana italiana e alle più innovative tecniche di costruzione secondo i principi della Bioarchitettura.

Finalmente, sembra arrivare anche in Italia il momento di demolire le orrende periferie costruite in base alle meravigliose ideologie totalitarie del secolo passato e di costruire nuove Eco-Città Compatte. E una speranza inizia a diffondersi tra gli abitanti di questi esperimenti fallimentari di urbanistica brutalista. Una periferia grigia anche quando il sole splende alto nel cielo. Una periferia grigia in omaggio al cemento venerato dai seguaci di Le Corbusier che hanno cercato, invano,di cancellare la vitalità, il colore, la ricchezza delle migliori città italiane.

Il Workshop organizzato dal Comune di Roma sul “Ritorno alla Città” sembra inaugurare una nuova stagione dell’architettura italiana. Già il nome, mutuato da una serie di seminari internazionali di A Vision of Europe (http://www.avoe.org/) che già negli anni 90 avevano presentato, per la prima volta in Italia, la possibilità di costruire città eco-compatibili, sembra dare una direzione chiara.

E’ arrivato il tempo di abbandonare ideologie ed esperimenti fallimentari per ritornare alla migliore tradizione dell’Arte di Costruire le Città. Basta con le stecche e i grattacieli dispersi a macchia d’olio nelle nostre campagne, collegati da immensi fasci autostradali ad altrettanto immensi ipermercati e alienanti villettopoli. E’ ora di trasformare le periferie in nuovi eco-quartieri compatti, basati sull’accessibilità pedonale, organicamente concepiti come parte di una città con precisi limiti, in armonia con l’ambiente naturale.

E l’idea sembra essere ormai condivisa sia dai molti over-70 presenti al Workshop sia dai giovani architetti tra i quali spiccano i membri del Gruppo Salingaros. Riunitisi, grazie all’intelligenza del famoso docente di University of Texas e alla formidabile capacità organizzativa di Stefano Serafini, sotto la bandiera della lotta per la liberazione dalla tirannia delle archistar e per lo sviluppo di una città ispirata ai principi della Biofilia, della Bioarchitettura e della Eco-Città Compatta (http://www.ecocompactcity.org/), architetti, urbanisti, ingegneri, filosofi, artisti e uomini di cultura presentano alla città di Roma una serie di progetti per la trasformazione della periferia in una comunità organica di nuovi eco-quartieri.

Si va dai progetti per la nuova eco-città giardino di Corviale stimolati dall’appello dell’Assessore alla Casa Teodoro Buontempo alla ri-urbanizzazione della Borgata Case Rosse. Mentre i progetti di A Vision of Europe e di Ettore Mazzola per demolire Corviale e trasformarlo in una nuova “città dentro dentro la città” dimostrano la redditività economica di questi interventi, il progetto di Pietro Pagliardini per Case Rosse offre un nuovo modello d’intervento per la ri-urbanizzazione delle tante borgate sorte nell’Italia del secolo passato senza un vero piano regolatore.

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