
Il Pd si è impaludato nella guerra delle nomenklature. Certifica così  il proprio fallimento programmatico e getta alle ortiche l'ambizione di  costituire il polo socialdemocratico contrapposto a quello  nazional-conservatore. Non era difficile prevedere un tale esito dalla  "fusione a freddo" che lo aveva partorito. Fin dall'inizio, infatti, i democrats  si sono segnalati all'attenzione del loro stesso elettorato per le  lotte intestine di potere a cui hanno dato vita piuttosto che per il  confronto ideologico e politico risultato scarso se non proprio assente.  Lotte di potere, ereditate dal vecchio Pci-Pds-Ds e da scampoli della  sinistra democristiana, che si sono trasformate, nel giro di pochi anni,  in lotte generazionali. Matteo Renzi e Pierluigi Bersani rappresentano,  infatti, non tanto il "nuovo" e il "vecchio" del Pd, ma insieme il  «mito incapacitante» di un partito oggettivamente provvisorio, sospeso  tra tentazioni regressive e provocazioni scapigliate. Un soggetto,  perciò, neppure consapevole che la partita che si sta giocando in Italia  nel contesto occidentale è finalizzata a costruire nuovi assetti  sociali fondati su culture emergenti e modalità inedite di aggregazione  che richiedono politiche in grado di rispondere ai disagi giovanili e  alle inquietudini delle generazioni avanzate con l'abilità di alchimisti  di un welfare pragmatico almeno come quello che venne inventato alla  fine dell'Ottocento paradossalmente da un conservatore come Otto von  Bismarck, superando le previsioni degli anarco-marxisti del tempo. Le  necessarie ed inedite sintesi, dunque, sembra che sfuggano agli eredi  del comunismo intrecciatisi con quelli del cattolicesimo democratico.  Gli uni e gli altri da quasi un quindicennio sono alla ricerca di una  convivenza problematica e non trovandola riempiono il vuoto dedicandosi  ad un gioco pericoloso: l'autolesionismo. Ne è consapevole Beppe  Fioroni, esponente post-dc, e lo paventano l'inventore ideologico del  Pd, Michele Salvati, e colui che ha cercato di interpretarlo al meglio  sul territorio, Sergio Chiamparino. Espressioni delle diverse componenti  e sensibilità del Pd, ritengono unanimente la riduzione del dibattito  sulle primarie, che potrebbe essere la Caporetto del partito a giudicare  dalle fratture che sta provocando, pregiudizievole alla definizione del  programma intorno al quale costruire l'alleanza da contrapporre al  centrodestra. 
Da qui la preoccupazione che la nuova Unione, fondata  sull'approssimativo "patto di Vasto" ed aperta al suggestivo  allargamento al Terzo Polo coltivato soprattutto da D'Alema, non si  trasformi nel cantiere della Torre di Babele a tutto vantaggio degli  avversari. Questi ultimi, che pure hanno motivi di seria preoccupazione  per ciò che accade al loro interno, non sembrano avere ben presente la  situazione di scollamento che si sta producendo nel Pd. È un segno di  debolezza politica e di irresolutezza culturale. Sintomi che la dicono  lunga sullo stato del Pdl incapace di profittare delle difficoltà del Pd  per rilanciarsi con una grande operazione di accreditamento quella  parte di elettorato deluso dalla non brillante tenuta della maggioranza.  Potrebbe farlo se ritrovasse le ragioni della coesione quale  presupposto per attuare i provvedimenti presentati all'Unione europea da  un lato e dall'altro se, rovesciando le parti, incalzasse come  coalizione di governo quella di problematica definizione che  intenderebbe sfidarla, sul suo stesso terreno dove si fronteggiano  opzioni inconciliabili nella valutazione della crisi economica e  finanziaria oltre che sui più vasti temi inerenti le convulsioni della  modernità. Sicché le crisi parallele del centrosinistra e del  centrodestra sembrano destinate a coesistere in una lunga stagnazione  politica nella quale l'irruzione possibile delle elezioni anticipate non  modificherà sostanzialmente lo stato delle cose vigente una legge  elettorale destinata a cristallizzare il potere di nomenklature  prigioniere del loro stesso destino: quello di non aver riformato i  partiti di riferimento per tempo adeguandoli alle esigenze culturali di  società dinamiche e dunque imprevedibili. Insomma un bipolarismo  impotente, caricatura della democrazia dell'alternanza.
(di Gennaro Malgieri)
 
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