Le nuove rivelazioni fanno seguito a un’intervista con Foglietta, apparsa sulle nostre pagine lo scorso 31 luglio per la serie Tipi italiani. In quel dialogo, il coautore di Sangue romagnolo ricordava un aneddoto, riferito da Indro Montanelli a Mazzuca, che ebbe per protagonista Quinto Navarra, segretario particolare di Mussolini. Un giorno Navarra appariva turbato e taciturno. Il Duce gli chiese che cosa mai fosse accaduto e il suo collaboratore gli confessò d’aver mandato un assegno di mille lire al comunista Bombacci, perché la moglie di Nicolino aveva inviato una lettera a Palazzo Venezia chiedendo aiuto per un figlio molto malato. Per questo gesto di generosità Navarra era stato convocato da Achille Starace, segretario del Partito nazionale fascista, che gli aveva stracciato la tessera del Pnf. Due giorni dopo aver raccontato l’episodio a Mussolini, il braccio destro del dittatore fu riconvocato da Starace, il quale gli consegnò una tessera nuova di zecca e, con un buffetto sulla guancia, aggiunse ammiccando: «Ci avevi creduto, eh, cretinetti!».
Quel figlio molto malato si chiamava Wladimiro (probabilmente in onore di Lenin, il cui vero nome era appunto Vladimir Il’ic Ul’janov), quartogenito di Nicola Bombacci e della maestra disoccupata Erissene Focaccia, unitisi in matrimonio nel 1905 a Forlì, nell’abbazia di San Mercuriale. Wladimiro era nato nel 1922 a Roma, dove suo padre due anni dopo avrebbe trovato un posto di lavoro all’ambasciata sovietica. Prima di lui erano venuti al mondo Raoul, nel 1906 a Forlì, e Gea, nel 1914 a Modena. Tutti e tre avevano mitigato il dolore dei genitori per la perdita prematura della primogenita Fatima Idea Libertà, un nome che fondeva reminiscenze cattoliche e ideali massimalisti: non bisogna dimenticare che Bombacci a 17 anni era stato mandato in seminario e che suo padre Antonio, ex milite pontificio, avrebbe desiderato a tutti i costi vederlo prete.
«Ma poi la politica ebbe il sopravvento e Nicola non fece battezzare nessuno dei tre figli», assicura Annamaria Bombacci, che ha condotto approfondite ricerche in proposito. «Raoul, nonostante avesse lavorato anche lui presso l’ambasciata sovietica di Roma, si offese con me perché avevo svelato questo particolare. Insisteva nel sostenere d’aver ricevuto il sacramento. Ma nei registri di battesimo della parrocchia di San Mercuriale il suo nome non figura. Del resto era stato proprio il padre Nicola a scrivere sul settimanale che dirigeva a Cesena, Il Cuneo, di non aver fatto battezzare i figli in nome della libertà».
Ma un lettore del Giornale, Andrea Abbiati, 76 anni, residente a Roma, dirigente in pensione che ha lavorato nel settore petrolifero (Api, Shell e Agip), è in grado di correggere questa ricostruzione. Abbiati è stato amico di Wladimiro Bombacci fino alla morte, avvenuta nel 2005. «Partecipai anche ai suoi funerali. C’eravamo incontrati una decina d’anni prima sulle piste del Terminillo. Era un patito dello sci di fondo, socio del Club alpino italiano. Aveva fondato l’associazione Amici della Groenlandia. Mi chiese se potevo dargli un passaggio in auto per il ritorno. Con me c’erano anche Renato Andaloro e quel grande campione di marcia che fu Abdon Pamich. Durante il viaggio gli chiedemmo di parlarci del padre. Ci spiegò che era molto amico di Mussolini, perché erano nati a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro da famiglie assai modeste ed entrambi avevano frequentato l’istituto magistrale. Fecero molte battaglie politiche insieme per cercare di migliorare le condizioni dei lavoratori. Quando si rese conto che le speranze rivoluzionarie dei socialisti venivano regolarmente frustrate, Bombacci propose a Mussolini di radicalizzare la lotta con una manovra a tenaglia contro i padroni: “Facciamo così, tu vai a destra e io vado a sinistra”. E poco dopo il primo fondò il Pci e il secondo il Pnf».
Ma la confidenza più sorprendente che Wladimiro Bombacci fece ad Abbiati riguardò il proprio battesimo, avvenuto con ogni probabilità nel 1930, a Cortina d’Ampezzo. È all’inizio di quell’anno, come scrivono Mazzuca e Foglietta in Sangue romagnolo, che la madre Erissene inoltra a Mussolini la famosa richiesta d’aiuto citata da Montanelli.
«Wladimiro mi raccontò che da piccolo s’era fratturato le vertebre cervicali sbattendo violentemente la nuca contro lo spigolo di un termosifone. Aveva assoluto bisogno di cure, che i genitori non potevano permettersi. I soldi arrivati sottobanco dal Duce consentirono il ricovero nella clinica ortopedica Rizzoli di Bologna. Ma lì il bambino apparve deperito e rachitico, per cui i medici consigliarono di trasferirlo in un sanatorio dell’Ampezzano, l’istituto Codivilla, dove avrebbe potuto proseguire le cure e giovarsi del clima dolomitico. La madre ovviamente rispose che la famiglia non era in grado di pagare un soggiorno in montagna. Un nuovo intervento di Mussolini rese la cosa possibile. Fu così che madre e figlio partirono per Cortina».
La presenza sotto le Tofane del quartogenito di Bombacci non poteva certo passare inosservata. Tanto più che lo stesso fondatore del Pci almeno una volta si recò a trovare il piccolo degente: lo comprova una foto consegnata ad Annamaria Bombacci da Rosina Del Col, a quell’epoca infermiera al Codivilla, che ritrae il barbuto rivoluzionario insieme con i parenti di altri ricoverati, seduto in prima fila. Dietro di lui, nel primo letto da sinistra, si vede Wladimiro.
L’indiscrezione arrivò anche all’orecchio di don Pietro Frenademez, un prete leggendario, più importante di un sindaco, che dal 1922 al 1961 fu alla guida della parrocchia di Cortina, ancor oggi tutelata dal diritto di giuspatronato, per cui il prevosto viene scelto dal Consiglio comunale fra una terna proposta dal vescovo. «Quando don Frenademez seppe dalla signora Bombacci che il bambino non era cristiano e che mai e poi mai il padre Nicola, ateo e anarchico, avrebbe acconsentito a farlo battezzare», rievoca Abbiati, «tanto insistette che alla fine riuscì a strapparle il permesso di amministrare in segreto il sacramento al figlioletto».
A quel punto il parroco fu però costretto a informare il suo diretto superiore, il vescovo di Bressanone (Cortina sarebbe passata alla diocesi di Belluno solo nel 1964). Poteva trattarsi di monsignor Johannes Raffl, reggente fino al 2 aprile 1930, oppure di monsignor Johannes Baptist Geisler, che gli subentrò. Non v’è certezza al riguardo. È invece sicuro che il vescovo in carica, resosi conto di quanto delicata fosse la faccenda, decise di battezzare personalmente Wladimiro Bombacci.
E qui s’inserisce Umberto di Savoia. Il quale, reduce dal viaggio di nozze con Maria José, la principessa del Belgio sposata l’8 gennaio 1930 nella Cappella Paolina del Quirinale, si trovava in quel periodo in vacanza all’hotel Cristallo di Cortina. «Appreso che il vescovo di Bressanone veniva a battezzare il figlio di Bombacci», riprende Abbiati, «si offrì immediatamente di fare da padrino al fanciullo. Finita la seconda guerra mondiale, Wladimiro volle andare a trovare Umberto II a Cascais, dove il sovrano rimasto sul trono per meno di un mese viveva in esilio. Il re di maggio gli gettò le braccia al collo ed esclamò: “Mi ricordo benissimo di te! Tu sei il mio figlioccio”».
«Andò esattamente così, re Umberto fu davvero molto affettuoso con Wladimiro», conferma Maria Corsini Bombacci, la vedova, superando l’iniziale ritrosia. «Posso testimoniarlo perché in quel giorno del 1948 mi trovavo al fianco di mio marito nella Villa Italia di Cascais. Eravamo sposati da poco e facemmo scalo in Portogallo durante il viaggio verso l’Argentina». Viaggio di nozze? «Lo chiami così, se vuole. In realtà fu una fuga, conclusasi con un confino in Sudamerica che sarebbe durato per molti anni. Se sapesse che brutta aria tirava in Italia nel 1948...». Già. Aveva cominciato a dare i suoi frutti velenosi l’interdetto pronunciato da Luigi Longo, il rappresentante del Pci nel Comitato di liberazione nazionale di Milano, alla vista dei cadaveri esposti a piazzale Loreto: «Questo è Nicola Bombacci, il super traditore. Di lui non si deve parlare mai più».
(di Stefano Lorenzetto)
Nessun commento:
Posta un commento