giovedì 17 novembre 2011

San Paolo contro le ideologie


Riguardo al tema oggi emergente dell’omosessualità, la concezione cristiana ci dice che bisogna sempre distinguere il rispetto dovuto alle persone, che comporta il rifiuto di ogni loro emarginazione sociale e politica (salva la natura inderogabile della realtà matrimoniale e famigliare), dal rifiuto di ogni esaltata “ideologia dell’omosessualità”; rifiuto che è doveroso.

La questione è seria, rilevante e di bruciante attualità. Per fortuna, la parola di Dio ci aiuta ad approfondirla correttamente, offrendoci un magistero vincolante per ogni credente, che per altro non dovrebbe essere disatteso da nessun ricercatore senza pregiudizi. C’è a questo proposito una pagina della Lettera ai Romani, davvero ammirevole per la chiarezza e il rigore teologico (Rm 1,18-32).

L’insegnamento rivelato

San Paolo comincia enunciando un principio generale: “L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia” (v. 18).
Ma passa ben presto a esaminare il caso specifico dell’omosessualità. Qui i prevaricatori, egli afferma, sono particolarmente condannabili perché “avendo conosciuto Dio non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti” (Rm 1,21-22). In conseguenza di questo accecamento intellettuale, si è verificata la caduta comportamentale e teorica nella più completa dissolutezza: “Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi” (Rm 1,24).

Un’analisi impressionante

A prevenire ogni malinteso e ogni lettura accomodante l’Apostolo prosegue in un’analisi che impressiona, formulata con termini insolitamente espliciti: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Egualmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne” (Rm 1,26-28).
Infine san Paolo si premura di osservare che l’abiezione estrema si ha quando “gli autori di tali cose […] non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1,32).
E’ una pagina del libro ispirato, che nessuna autorità terrena può costringerci a censurare. E neppure ci è consentita, se vogliamo essere fedeli alla parola di Dio, la pusillanimità di passarla sotto silenzio per la preoccupazione di apparire non “politicamente corretti”.

Tre affermazioni

A ben guardare, troviamo in questa esposizione una triplice delucidazione.
In primo luogo, si condannano apertamente le pratiche erotiche in esame. Sono definiti “atti ignominiosi” (v. 27), “azioni indegne” (v. 28), frutto di “passioni infami” (v. 26).
In secondo luogo, contro la “cultura dell’omosessualità”, si osserva che l’aberrazione suprema si ha quando “gli autori di tali cose […] non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa” (v. 32).
In terzo luogo, abbiamo qui una inattesa formulazione di “teologia della storia”, che san Paolo ricava da ciò che è avvenuto nel mondo ellenistico: il dilagare della “ideologia dell’omosessualità” è al tempo stesso la prova e la conseguenza dell’esclusione di Dio dall’attenzione sociale e dalla assurda renitenza a dargli la gloria che gli spetta (v. 21).
Potremmo dire che, secondo questa prospettiva, la “ideologia della omosessualità” non è solo una colpa: è anche un castigo, il castigo inflitto a un’umanità che ha deciso di far senza il suo Creatore e di estrometterlo dai suoi pensieri. “Così hanno ricevuto in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento” (v. 27).

Una prospettiva oggi viva

Ciò che san Paolo rilevava come avvenuto nel mondo greco-romano, si dimostra profeticamente corrispondente a ciò che si è verificato nella cultura occidentale di questi ultimi secoli: il ripudio teorizzato del Creatore – fino a proclamare grottescamente, qualche decennio fa, la “morte di Dio” – ha avuto come conseguenza (e quasi come intrinseca punizione) un dilagare di una visione sessuale aberrante, ignota (nella sua arroganza) alle epoche precedenti.

Un attentato alla libertà umana

L’ideologia dell’omosessualità – come spesso càpita alle ideologie quando si fanno aggressive e arrivano a essere politicamente vincenti – diventa un’insidia alla nostra legittima autonomia di pensiero: chi non la condivide rischia la condanna a una specie di emarginazione culturale e sociale.

Gli attentati alla libertà di giudizio cominciano dal linguaggio. Chi non si rassegna ad accogliere la “omofilìa” (cioè l’apprezzamento teorico dei rapporti omosessuali), viene imputato di “omofobìa” (etimologicamente la “paura dell’omosessualità). Deve essere ben chiaro: chi è reso forte dalla luce della parola ispirata e vive nel “timore di Dio”, non ha paura di niente, se non della “stupidità” nei confronti della quale, diceva Bonhoeffer, siamo senza difesa. Adesso si leva talvolta contro di noi addirittura l’accusa incredibilmente arbitraria di “razzismo”: un vocabolo che, tra l’altro, non ha niente a che vedere con questa problematica; e in ogni caso è del tutto estraneo alla nostra dottrina e alla nostra storia.
Il problema sostanziale che si profila è questo: è ancora consentito ai nostri giorni essere discepoli fedeli e coerenti dell’insegnamento di Cristo (che da millenni ha ispirato e arricchito l’intera civiltà occidentale), o dobbiamo prepararci a una nuova forma di persecuzione, promossa dagli omosessuali faziosi, spalleggiati dai loro complici ideologici, col beneplacito di coloro che avrebbero il compito di difendere la libertà intellettuale di tutti, perfino dei cristiani?

Un silenzio ingiustificato

Concludiamo con una domanda. Come mai in questo clima di esaltazione quasi ossessiva della Sacra Scrittura il passo paolino della Lettera ai Romani (1,21-32) non è mai citato da nessuno? Come mai non ci si preoccupa un po’ di più di farlo conoscere ai credenti e ai non credenti, nonostante la sua evidente attualità?

(di Card. Giacomo Biffi)

Nessun commento:

Posta un commento