In totale, qualche migliaio di persone inferocite con il governo Monti e intenzionate a «occupare Piazza Affari», simbolo del Grande Capitale Internazionale. Un tempo, siffatta compagnia circense sarebbe rimasta ai margini di un più grande corteo delle sinistre. Ora, senza il comune nemico Berlusconi, a sfilare ci sono soltanto i comunisti o quel che ne resta. Le tipologie umane sono essenzialmente due: i residuati bellici di epoche antiche, i Ribellosauri con capello rado e mal lavato, ostinati nei loro sandali a gridare nel megafono ritornelli contro il «padronato». E poi i giovani tipo centro sociale, con birra in mano, pantalone sfatto e maschera di V for Vendetta da esibire ai fotografi, per sentirsi un po’ americani come gli indignati di Occupy Wall Street. Tra le due categorie pare comune la scarsa dimestichezza con lo shampoo.
A tratti, come lampi dal passato, si manifestano Paolo Ferrero e Vittorio Agnoletto (un uomo, un flashback), alla disperata ricerca di una telecamera da aggredire o di un microfono a cui dichiarare. Risuonano le solite canzoni da battaglia dei 99 Posse, roba talmente antica che il gruppo nel frattempo è riuscito a cambiare idea e a separarsi. Tutt’intorno, il deserto. I negozianti calano le saracinesche come un velo pietoso, ed è divertente notare l’esercente tartassato dal Fisco che si blinda impaurito nella bottega mentre i ragazzotti con i rasta vogliono il «potere agli operai» e si lamentano delle tasse. Certo, se poi fosse un governo sovietico a imporle, a loro starebbe pure bene. Ma in questo caso ce l’hanno con gli squali della finanza. Alcune istanze sarebbero perfino condivisibili, solo che a fianco dei coretti contro il «governo golpista» e la crisi che viene fatta pagare ai poveri cristi, i manifestanti offrono anche qualche soluzione. Per esempio che il socialismo reale salverebbe l’Italia. Oppure che «i padroni» devono essere appesi a testa in giù, possibilmente a piazzale Loreto.
Numerosi i bandieroni con falce e martello, un tizio con il passamontagna che avrà sì e no 17 anni dipinge su un muro un’immagine di Marx con la scritta «Modello tedesco». Il corteo si era inaugurato con proclami minacciosi, guardandosi in giro s’intravedeva qualche grugno apparentemente ben disposto a spaccare tutto. Il rischio c’era, visto che in mattinata due pullman provenienti da Napoli e contenenti mazze, spranghe e altri indispensabili utensili da guerriglia erano stati fermati al casello di Melegnano. Alla fine, nessuna violenza, per fortuna. Soltanto i consueti e fastidiosi vandalismi, che qualcuno dovrà poi ripulire. Scritte sulle banche, adesivi appiccicati sui cartelli stradali, il tentativo di appiccare un incendio alla filiale Unicredit a Porta Romana. Un paio di volonterosi si sono imbarcati nell’ardua impresa di costruire un muretto davanti a una Bnl: probabilmente trattavasi del primo lavoro manuale in vita loro.
L’avanzata degli zombie prosegue, ululante, fino all’agognata Piazza Affari, circondata da una nube di agenti in tenuta anti sommossa (e supponiamo dotati, vista l’occasione, di paletti di frassino, aglio e pallottole d’argento). Un valsusino, in piazza Cordusio, domanda spaesato: «È questa Piazza Affari?». Poi si accorge che i compagni stanno proseguendo. Giunti sul posto, fanno gridare dal palco improvvisato Alberto Perino dei No Tav, il quale conferma di aver partecipato perché il governo Monti è nemico del suo movimento (come tutti gli altri governi, secondo lui, dunque un corteo vale l’altro). Seguono altri oratori, ma la folla s’avvia a disperdersi. Giusto il tempo di comprare una birra al baracchino apposito e farsi rifilare uno dei tanti giornali disponibili, tra cui Lotta continua - nuova edizione (titolo lungo come un articolo: «Solo il conflitto potrà spazzarli via. La fase due facciamola noi!»), Il Bolscevico, La Comune... Infine, gli zombie sciamano via lenti, solo un po’ più brilli di quando sono arrivati. A pochi passi di distanza, in piazza del Duomo e via Torino, i vivi fanno shopping. Dopo tutto, è una bella giornata di sole.
(di Francesco Borgonovo)
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