È possibile in questo frangente sospendere per un momento le cifre e 
gli indici, e tirar fuori un’idea politica? È possibile riportare al 
centro del discorso pubblico un linguaggio sconosciuto ai tecnici e 
agli eurocrati? Lo riassumo in una parola chiave che è cultura e prassi 
politica: sovranità. 
Una parola che è affermazione di principio, rivendicazione di competenza e 
di responsabilità, assegnazione di compiti e azione conseguente. Non è
 un concetto astratto ma si esprime in vari ambiti reali dove si 
esercita il potere e il consenso, la vita e lo spazio pubblico. La 
sovranità non è solo il potere sugli uomini e sulle cose, è il 
riconoscimento, o l’invocazione, di un principio e di un atto che non si
 inscrive dentro il fluire ordinario delle cose, ma che lo sovrasta, 
s’innalza sopra l’accadere e dunque lo modifica. Sovrano non è chi 
segue la realtà ma chi la cambia, decide un altro corso. Il male 
principale della nostra epoca è la riduzione dei 
processi storici e umani a puro automatismo: ovvero non si può fare che in 
questo modo, la tecnica o i bilanci hanno delle esigenze inderogabili,
 matematiche, da cui non si può prescindere e tantomeno modificare. 
Sovrano è colui che libera l’uomo dall’automa e lo restituisce alla 
responsabilità di decidere. Caliamo queste considerazioni 
nell’emergenza dei nostri giorni e nella convinzione ineluttabile che 
non si possa fare altro rispetto agli imperativi della finanza e della 
tecnica. La sovranità in questa fase si ribella al fatalismo della 
tecnica e della finanza, non sottosta al suo diktat ma si pone appunto 
sopra e restituisce facoltà di decidere non solo le azioni ma anche le 
norme su cui fondare l’autonomia. Applichiamo così la sovranità ai 
diversi ambiti. Sovranità politica rispetto all’economia e ai mercati 
perché la politica resta, nonostante tutto, il luogo in cui si 
rappresentano e si tutelano gli interessi generali e i principi 
condivisi, il luogo in cui l’identità di un popolo si fa volontà di 
destino. La tecnica espleta le procedure, alla 
politica tocca però decidere l’orientamento, la direzione, le priorità. 
Sovranità nazionale per affermare l’importanza decisiva dell’unità, 
della sua tradizione e della sua dignità che non può essere umiliata e 
svenduta da poteri anonimi e sovranazionali, che rispondono solo ai propri 
obbiettivi privati. Anche nella prospettiva europea non si può saltare,
 per esempio col fiscal compact, il gradino della sovranità nazionale.
 È possibile integrare nel contesto europeo le sovranità naizonale, 
non dis-integrarle. Sovranità popolare perché non si può 
calpestare la volontà di un popolo espressa dalla sua maggioranza 
subordinando un paese alle oligarchie finanziarie e tecnocratiche, 
burocratiche e giudiziarie, ideologiche e mediatiche. Nessuna 
deificazione della democrazia e delle maggioranze, conosciamo bene i 
suoi limiti e le sue storture, ma resta primario l’ancoraggio al 
sentire comune. Sovranità monetaria perché un paese resta sovrano se 
dispone della sua moneta, se è in grado di governarla e non di esserne 
succube, se non è strozzato dagli imperativi finanziari o dalle 
ingiunzioni delle agenzie di rating. La moneta dev’essere al servizio 
dei cittadini, e non il contrario. Sovranità linguistica, nel senso che 
in Italia la lingua sovrana resta l’italiano. Va incoraggiato il 
bilinguismo, ammirati i poliglotti, va diffuso l’inglese, tutelati i 
dialetti, ma l’italiano va difeso e promosso perché è il segno vivente e
 parlante della nostra identità e insieme è una delle lingue più nobili
 e gloriose al mondo.
Infine sovranità statuale perché uno Stato non può fallire ed 
elemosinare aiuti dalle banche, la nostra economia reale è solida, le 
nostre riserve auree sono rilevanti e le famiglie italiane dispongono
 di beni reali come le case. Non può lo Stato abdicare in favore dei mercati, delle banche o di 
poteri per definizione irresponsabili nel senso che non rispondono a 
nessuno.
La sovranità infine ha bisogno di simboli di continuità e di 
identificazione. Per rendere vivente e non solo vigente la tradizione 
di un popolo, sorse la monarchia che dà un nome, un volto e una storia
 regale alla sovranità. Incarnando la sovranità in una persona e non in 
un potere impersonale, si umanizza il potere e si stabilisce il 
principio che la sovranità debba essere esercitata e finalizzata 
all’umano e non ad altri paradigmi tecnici, normativi o finanziari. 
Nella storia, la monarchia si espresse nella duplice versione di 
assoluta o costituzionale; oggi nelle due versioni di ereditaria ed 
elettiva, ovvero dinastica o presidenziale. L’investitura ereditaria 
viene temperatadalruolo, percuiilsovrano regna ma non governa; la 
regalità elettiva, invece, è a tempo, ma viene rafforzata dalla 
possibilità di esercitare la sua sovranità pur bilanciata e vigilata da 
altri poteri. La decisione sovrana spetta a chi rappresenta la 
costellazione delle sovranità prima indicate, e ne ha la piena 
responsabilità di cosa fa e di come lo fa. La crisi si fronteggia con la
 sovranità, che implica la partecipazione del popolo sovrano e la 
decisione di chi è stato eletto per guidarlo. Rispetto a questa 
domanda di sovranità, il governo dei tecnici è estraneo e la politica 
presente è inadeguata. Sono buone ragioni per nutrire sfiducia ma non 
sono ragioni sufficienti per rimuoverel’urgenza di ripristinare la 
sovranità. La rifondazione della polis riparte dalla sovranità.
(di Marcello Veneziani)
 

 
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