Non dubito che quel che sostiene Daniela Santanchè sia vero. E cioè che il Popolo delle Libertà non esiste più. Mi permetto di aggiungere che da tempo si è dissolto. Tuttavia l'ex-candidata premier contro il Pdl e il centrodestra nel 2008, dovrebbe trarre conclusioni radicali e non parziali dalla sua diagnosi. Non basta dire che la classe dirigente, essendo venuto meno il partito, si deve dimettere. Deve anche chiedere, per coerenza, che il primo passo in tal senso deve farlo proprio Silvio Berlusconi che, come capo, ispiratore, fondatore e leader (non più indiscusso) della creatura partorita sul predellino di un'automobile avrebbe il dovere di dichiarare conclusa un'esperienza politica e conseguentemente mettersi da parte. Non accadrà mai, naturalmente, tutto questo. Per il semplice motivo che è proprio Silvio Berlusconi, come la concatenazione dei fatti dimostra, che negli ultimi tre mesi ha impegnato tutte le sue energie per rottamare il Pdl senza peraltro metterci la faccia. Manda avanti gli altri, insomma, fa trapelare il suo disgusto e il suo disappunto, indirizza fedelissimi, ma soprattutto fedelissime, nel tentativo di dissodare (si fa per dire) il terreno sul quale seminare un nuovo verbo che peraltro nessuno conosce, ma non si espone in prima persona, non convoca gli organismi dirigenti, non compare in televisione per assumere davanti agli italiani una posizione netta rispetto al naufragio del Pdl.
Nonostante il suo nascondersi, al culmine di uno sfacelo dalle dimensioni politicamente devastanti, è comunque chiarissimo il fine che il Cavaliere persegue, e che, sia pure in maniera impropria, lo aveva fatto capire pur avvolgendolo in inaccettabili allusioni o tentativi di appeasement con personaggi che nulla avevano a che fare con il partito stesso, oltre che con la plateale delegittimazione del lavoro del segretario Angelino Alfano (ricordate la sorprendente uscita sul «quid»?): liberarsi di un soggetto ingombrante con tutta la classe dirigente che lui stesso ha creato e tentare di giocare un'ultima carta sul filo dell'ambiguità, colorata di populismo e di montismo, di grillismo e di bonapartismo in sedicesimo. Non ha un progetto politico e, dunque, non ha bisogno di nessuno che lo supporti.
Il berlusconismo, nella sua fase estrema e decadente, è l'ipostatizzazione di se stesso, cioè a dire la personificazione di un'idea astratta da lanciare come progetto di plastica ad elettori disponibili a farsi convincere che il presunto carisma dell'uomo basti a colmare il vuoto che si è prodotto nel centrodestra. Non è un'operazione banale e perciò richiede consenso. A quale serbatoio, dunque, Berlusconi l'attingerebbe se non a quello del Pdl, ormai non più «suo» in termini politici e «sentimentali»? Ecco rivelata la nuova strategia: svuotare nei limiti del possibile il partito per potersene accaparrare le risorse elettorali, in piena libertà, sciolto finalmente dai lacci e dai laccioli di una formazione politica che lui stesso si rende conto di non aver mai saputo e voluto governare, ma soltanto dominare.
Finché i voti c'erano tutto passava in secondo piano, perfino il confusionismo tra sfera privata e pubblici doveri, poi, quando l'esaurimento di una spinta propulsiva macchinosa e anche artificiosa si è esaurita, il Cavaliere stesso ne ha preso atto e ha gettato i meccani che sorreggevano lo spettacolo negli scantinati dove solitamente vengono riposti gli ingombri televisivi una volta terminato il programma. Non so se la classe dirigente del Popolo delle Libertà, alla quale tutto si può rimproverare (e sarebbe comunque ingeneroso visto il carico che negli ultimi cinque anni si è dovuta sobbarcare) tranne la lealtà con la quale ha seguito il capo nelle sue disavventure anche personali, si rende perfettamente conto che una storia è davvero tramontata. Non credo debba farsi problemi se assumerà in piena libertà decisioni che ormai sono mature perché di fronte ad essa non c'è più il Berlusconi che ha conosciuto e seguito. C'è un uomo solo i cui disegni politici sono labili e oscuri, non coincidono più con quelli del centrodestra e, semmai dovessero concretizzarsi, tenderanno anzi a contrapporsi a esso e a quel che resterà del Pdl in particolare: paradossalmente il partito berlusconiano diventerà, per volontà del suo fondatore, l'antagonista principale del berlusconismo morente. Un'eterogenesi dei fini assolutamente inedita nel panorama politico post-novecentesco che se non ha il sapore o il colore di un sorta di Gotterdammerung vi si avvicina in maniera però grottesca e caricaturale.
A questo punto, dunque, dovrebbe essere proprio la nomenklatura pidiellina a fare la partita riunendosi attorno al segretario Alfano, impostando una strategia comune, ripristinando regole mai applicate di democrazia interna, approntando un programma per i prossimi anni, selezionando una classe dirigente periferica e centrale di buon livello e ripartendo con un progetto politico nel quale lo spirito, le culture e le identità del centrodestra possano riconoscersi. Il ché naturalmente implica la chiarezza anche nello stringere possibili alleanze tra le quali non può davvero esservi quella con la Lega che, per i suoi fini, ha cannibalizzato il Pdl e che ora Berlusconi, vorrebbe recuperare con uno scambio a dir poco indecente: la Lombardia con il Paese, senza neppure sospettare che il Pirellone non vale la nazione. Non potrebbe esservi esempio più eloquente di questo del distacco tra l'ex-leader del centrodestra e quel che il centrodestra, nella percezione della maggior parte dei suoi elettori, dovrebbe essere.
(di Gennaro Malgieri)
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