Vent'anni fa, quando la Destra politica si ritrovò scaraventata sulla ribalta nazionale e in seguito, grazie a Silvio Berlusconi, addirittura alla guida del Paese, furono in pochi a prevedere in quell'insperato successo l'inizio della fine.
Vent'anni dopo, la cronaca registra un 
pullulare di sigle nate dall'esaurirsi di quella che ne era stata 
all'inizio il motore immobile, vale a dire il Movimento sociale (Msi), 
prima ribattezzato Alleanza Nazionale (An) e più tardi sciolto in un più
 grande contenitore chiamato Polo delle Libertà (Pdl). Allo stato 
attuale, e come per gemmazione da quest'ultimo, sono da annoverarsi da 
un lato i Fratelli d'Italia-Centro-destra Nazionale antimontiani, 
dall'altro il finiano e montiano Futuro e Libertà, a cui va aggiunta la 
storaciana Destra, priva di rappresentanza parlamentare, anch'essa 
antimontiana in un orizzonte elettorale in cui il montismo sembra il 
mantra del berlusconismo: favorevoli ma contrari (sono stati i suoi 
rappresentanti ad aver sfiduciato il governo), contrari ma favorevoli 
(lo avrebbero voluto al loro fianco se non alla loro guida...).
Questo pullulare di sigle intorno a un unico
 oggetto del contendere si lega a ciò che dà il titolo al saggio di 
Giuseppe Giaccio, ovvero Le metamorfosi della destra (&MyBook, pagg.
 149, euro 12), analisi ragionata e tentativo di comprendere quanto e 
se, metamorfosizzandosi, la Destra abbia trovato un suo anche se 
molteplice ubi consistam oppure, più semplicemente, si sia polverizzata.
 Nota l'autore che «da un punto di vista biologico, la metamorfosi è un 
processo naturale di trasformazione che consente a un organismo di 
diventare adulto: dalla crisalide alla farfalla. Sappiamo però, grazie a
 Kafka, che una metamorfosi può essere anche qualcosa di mostruoso: 
Gregor Sansa, da uomo, diventa scarafaggio».
In politica, si sa, bisogna dar prova di 
realismo. È in nome del realismo politico che intellettuali-compagni di 
strada e esponenti di partito con aspirazioni teoriche hanno cercato di 
motivare le ragioni di una Destra in cammino verso, va da sé, la 
modernità. Giaccio ne ripercorre puntigliosamente i passi, comprese le 
vanterie affrettate così come le ricostruzioni di comodo. Sta di fatto 
che il solvitur ambulando, ovvero il risolvere i problemi attraverso una
 marcia, a volte storicamente può funzionare, vedi la «marcia su Roma» 
del fascismo, ma c'è sempre in agguato quel couplet di Mino Maccari che 
suonava «O Roma/o Orte»... Sotto questo aspetto, il cammino della Destra
 sembra essere finito su un binario morto o tutt'al più uno scambio in 
disuso, e questo a prescindere dalla ministeralizzazione capitolina di 
alcuni suoi leader-macchinisti.
Giaccio si interroga se «non sia proprio il 
berlusconismo a svelare la verità sulla destra italiana, il suo vero 
volto». È un interrogativo retorico, non foss'altro perché, come nota 
egli stesso, la cronaca di questi anni ha registrato la presenza molto 
attiva dei «berluscones» nella cosiddetta destra-postmissina, ma non dei
 «finiones» dentro Forza Italia. La «destra nuova» europea dei Sarkozy e
 dei Cameron che veniva portata a esempio, era insomma «capeggiata da 
persone che, a cominciare dal primo, avevano conquistato sul terreno, 
metro per metro, la leadership prima del loro partito e poi del loro 
Paese», cosa che di Gianfranco Fini non si può proprio dire. La 
berlusconizzazione della destra portava dunque scritto sin dall'inizio 
la dissoluzione della seconda, a meno di non dotarla di anticorpi 
ideologici talmente forti e insieme di una capacità strategica di lunga 
durata tali da permetterne il rigetto. Sotto questo aspetto, sia la Lega
 di Bossi e poi di Maroni, sia l'Udc di Casini hanno rivelato quella 
capacità identitaria che ne ha garantito la sopravvivenza.
Lo «scioglimento di un equivoco». Così 
Giaccio, riprendendo il giudizio del finiano Fabio Granata, descrive la 
confluenza di An nel Pdl e la successiva costruzione della «Destra 
nuova» di Futuro e Libertà, intesa come una «sfida in campo aperto»... 
Nel giro di un paio d'anni, e complici le prossime elezioni, da una 
«confluenza» si è passati a un'altra, sempre in condizioni di minorità 
e/o di sudditanza, una sorta di commedia degli equivoci che cancella la 
parola «destra» come antitesi del berlusconismo. E sull'altro versante? 
Il neo partitino di La Russa-Meloni-Crosetto da un lato, La Destra di 
Storace dall'altro non si sa se marceranno separati per colpire uniti o 
uniti per non morire separati, ma in entrambi i casi, e di là dalla 
buona fede e dai buoni propositi, è difficile vedere in essi un progetto
 politico in grado di caratterizzarli.
Le metamorfosi della destra è un libro 
interessante anche per l'analisi di quella che è stata la «Nuova destra»
 metapolitica, riassumibile nella formula delle nuove sintesi 
democratiche post-liberali, e di cui Giaccio ha rappresentato uno degli 
intellettuali più accreditati. In sostanza, proprio dal venir meno dei 
referenti politici tradizionali, i concetti classici di destra e di 
sinistra, era possibile un percorso culturale alternativo che cercasse 
una via d'uscita a quella che sempre più si è andata configurando come 
la morte della politica. «Sul piano istituzionale, rimane l'architettura
 di una democrazia sempre meno rappresentativa e sempre più 
auto-referenziale, un regime partitico post-democratico, che della 
democrazia conserva le forme esteriori, le ritualità, ma non più la 
sostanza e che tenta di sopperire a questo deficit con un massiccio 
ricorso alle tecniche pubblicitarie». Come e se da questo impasse si 
possa uscire, nessuno è in grado di dirlo, ma provarci resta «la 
propedeutica morale a ogni rivoluzione possibile».   
(di Stenio Solinas)  
 
 
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