Per quaranta anni è come se fossero restati dei morti di “serie B”. A lungo i giovani di destra caduti negli scontri di strada degli anni Settanta sono stati considerati - nell’immaginario collettivo della sinistra e di tanta stampa indipendente - come dei picchiatori che se la cercavano. Negli anni di piombo anche tanti militanti di sinistra caddero, ma mentre i compagni quasi sempre erano le “vittime”, i camerati sono passati alla storia come i carnefici: una lettura manichea sui terribili anni di piombo che ora, sia pure indirettamente, viene rivisitata e superata dalle parole del Capo dello Stato sui fratelli Stefano e Virgilio Mattei, i militanti dell’Msi morti nella loro casa di Roma per effetto di un rogo appiccato da un drappello di estremisti di sinistra. Tra il 1972 e il 1983 venti giovani camerati, missini o vicini all’Msi, vengono assassinati, raramente per effetto di aggressioni promosse dalla destra, più spesso perché attaccati e uccisi da colpevoli che, talora, hanno finito per farla franca.
La “guerra civile” tra giovani di destra e di sinistra ha inizio nei primi anni Settanta: dopo aver vissuto per 25 anni in un ghetto separato da tutto e da tutti, l’Msi diventa un bunker assediato: sezioni attaccate (i compagni le chiamavano covi fascisti), ma anche cortei che si trasformavano in guerriglie urbane, agguati, spranghe che menavano botte micidiali, stragi. Una lunga striscia di sangue che inizia il 7 luglio del 1972, sul lungomare di Salerno: al termine di una rissa scoppiata per caso Carlo Falvella viene colpito al petto, aorta recisa. Il suo cognome finisce per entrare in un terribile slogan del Movimento del 77: «Tutti i fascisti come Falvella, con un coltello nelle budella». Il 16 aprile 1973 i fratelli Mattei muoiono, nel rogo scatenato dai compagni di Potere operaio che volevano intimidire il papà di Stefano e Virgilio, che era segretario dell’Msi in un quartiere popolare di Roma, la borgata di Primavalle, fatta realizzare tanti anni prima da Mussolini ma che stava diventando di sinistra. Una lunga striscia di sangue che quasi sempre ha come scenario Roma, ma anche Padova, Pavia.
E Milano: il 29 marzo del 1975 la vittima è un ragazzo milanese di 18 anni, dai capelli lunghi: Sergio Ramelli. Luca Telese, nel suo “Cuori neri”, libro bello e fortunato dedicato ai delitti dimenticati degli anni di piombo, lo racconta così: «Sergio era riuscito a restare refrattario al furore ideologico del suo tempo» e nei «suoi ultimi giorni c’è qualcosa di stoico», «malgrado il moltiplicarsi delle minacce» e delle aggressioni: «a scuola lo insultano e lo prendono a calci», «incredibilmente non si lamenterà con i camerati», «terrà all’oscuro la famiglia. Fino a quando una sera, sotto casa, appena posato il motorino, due killer lo finiscono a colpi di chiave inglese. Undici anni di delitti che in qualche modo formarono una generazione di futuri dirigenti politici. Ai funerali dei fratelli Mattei erano diventati amici due giovani camerati, che si chiamavano Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri. Gianni Alemanno era diventato il miglior amico di Paolo Di Nella, l’ultimo giovane di destra assassinato nel 1983; un giorno Francesco Storace vide un proiettile forare il tabellone sul quale stava per attaccare un manifesto. In quegli anni nacque una comunità che, proprio perché cementata dal dolore e dal sangue, sembrava indissolubile. Una storia che si è simbolicamente spenta due giorni fa nello studio di un avvocato, col mesto scioglimento del Fli, raccolto a quel Gianfranco Fini che per un ventennio è stato il capo carismatico di una comunità che non c’è più.
La “guerra civile” tra giovani di destra e di sinistra ha inizio nei primi anni Settanta: dopo aver vissuto per 25 anni in un ghetto separato da tutto e da tutti, l’Msi diventa un bunker assediato: sezioni attaccate (i compagni le chiamavano covi fascisti), ma anche cortei che si trasformavano in guerriglie urbane, agguati, spranghe che menavano botte micidiali, stragi. Una lunga striscia di sangue che inizia il 7 luglio del 1972, sul lungomare di Salerno: al termine di una rissa scoppiata per caso Carlo Falvella viene colpito al petto, aorta recisa. Il suo cognome finisce per entrare in un terribile slogan del Movimento del 77: «Tutti i fascisti come Falvella, con un coltello nelle budella». Il 16 aprile 1973 i fratelli Mattei muoiono, nel rogo scatenato dai compagni di Potere operaio che volevano intimidire il papà di Stefano e Virgilio, che era segretario dell’Msi in un quartiere popolare di Roma, la borgata di Primavalle, fatta realizzare tanti anni prima da Mussolini ma che stava diventando di sinistra. Una lunga striscia di sangue che quasi sempre ha come scenario Roma, ma anche Padova, Pavia.
E Milano: il 29 marzo del 1975 la vittima è un ragazzo milanese di 18 anni, dai capelli lunghi: Sergio Ramelli. Luca Telese, nel suo “Cuori neri”, libro bello e fortunato dedicato ai delitti dimenticati degli anni di piombo, lo racconta così: «Sergio era riuscito a restare refrattario al furore ideologico del suo tempo» e nei «suoi ultimi giorni c’è qualcosa di stoico», «malgrado il moltiplicarsi delle minacce» e delle aggressioni: «a scuola lo insultano e lo prendono a calci», «incredibilmente non si lamenterà con i camerati», «terrà all’oscuro la famiglia. Fino a quando una sera, sotto casa, appena posato il motorino, due killer lo finiscono a colpi di chiave inglese. Undici anni di delitti che in qualche modo formarono una generazione di futuri dirigenti politici. Ai funerali dei fratelli Mattei erano diventati amici due giovani camerati, che si chiamavano Gianfranco Fini e Maurizio Gasparri. Gianni Alemanno era diventato il miglior amico di Paolo Di Nella, l’ultimo giovane di destra assassinato nel 1983; un giorno Francesco Storace vide un proiettile forare il tabellone sul quale stava per attaccare un manifesto. In quegli anni nacque una comunità che, proprio perché cementata dal dolore e dal sangue, sembrava indissolubile. Una storia che si è simbolicamente spenta due giorni fa nello studio di un avvocato, col mesto scioglimento del Fli, raccolto a quel Gianfranco Fini che per un ventennio è stato il capo carismatico di una comunità che non c’è più.
(di Fabio Martini - fonte: www.lastampa.it)
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