Al di là di quel che egli stesso pensa, 
Stenio Solinas ha molti compagni di solitudine e non solo tra gli 
scrittori degli anni Trenta. A sentirsi ultimo dei mohicani, per citare 
il titolo del suo pamphlet in uscita, sono, o siamo, in tanti. Pochi 
rispetto al resto, tanti rispetto alla nostra solitudine. 
Condividiamo i suoi giudizi e le sue 
amarezze, la lontananza con disgusto da questo presente, pur salvando 
ben poco di quel passato che ci vide giovani e che fu scandito in due 
epoche: l'epoca feroce che s'inaugurò alla fine degli anni Sessanta con 
il Sessantotto e che durò nel decennio seguente lungo gli anni di 
piombo, sanguigni e sanguinosi. E l'epoca leggera che cominciò col 
riflusso alla fine degli anni settanta e durò nel decennio successivo, 
consacrato agli yuppies e all'edonismo di massa. Poi avvenne da noi la 
seconda repubblica, quel concentrato di postmodernità, populismo 
televisivo e dissoluzione dei grandi racconti, in cui prevalse «l'estasi
 del presente» come la definisce Solinas, di cui fu re o reuccio Silvio 
Berlusconi. Un'epoca che strizzava l'occhio agli anni Sessanta, versione
 commedia all'italiana, e ai rampanti anni Ottanta, versione Drive in, 
Craxi e Reagan, ma si concentrava sul presente e sul privato, e si 
opponeva al settarismo giacobino o «comunista» della sinistra italiana 
con un sogno di felicità individuale di massa che poi non si realizzò. 
Nel triplice approdo la nave di Solinas si chiama generazione.
In queste tre epoche che abbiamo vissuto, da ragazzi, da giovani e da
 adulti, la destra è andata via via scemando, e forse il verbo scemare 
spiega meglio di ogni altro la parabola del suo leader. Ma insieme 
scomparve anche la risposta intellettuale e culturale a quella destra 
politica, passata dal piccolo nostalgismo impolitico-elettorale, al 
postfascismo fondato sull'Amnesia Nazionale, e poi dal berlusconismo 
opportunistico all'antiberlusconismo suicida. Mi riferisco alla Nuova 
Destra, di cui Solinas fu esponente di primo piano, che si perse nel 
caleidoscopio degli anni e la sua comunità partorì un arcipelago di 
solitudini.
Certo, l'epoca vista non solo da destra ma in generale, è
 segnata dal trionfo della tecnica e dell'economia sulla politica e 
sulla passione civile. I suoi leader furono legati all'economia: Solinas
 cita Berlusconi, Prodi e Monti, ma si potrebbero aggiungere anche 
Ciampi, Dini, Amato, Maccanico e altri.
Il viaggio sentimentale di Solinas tra Leopardi e Longanesi-Flaiano, è
 un vivace riassunto generale di quel che scriviamo ogni giorno sul 
Giornale e del disagio che viviamo noi che non fummo e non siamo 
liberali e moderati. Un disagio che diventa disprezzo rispetto al 
fallimento e al cinismo delle classi dominanti ma che si fa speculare 
quando affronta il cinismo volgare del «popolaccio». Solinas nasconde 
nel disgusto e nella malinconia un'indole romantica. Un romanticismo che
 non disdegnò di trescare col fascismo proprio perché amore proibito, 
storia vietata, scelta disperata. Il fascismo rappresentava «il più 
altrove» possibile nella storia d'Italia, anche se paradossalmente era 
l'autobiografia degli italiani (ma degli italiani in piedi, eretti o a 
volte solo in erezione). Proprio perché impossibile, impronunciabile, 
irrealizzabile e scandaloso, il sogno del fascismo catturò gli spiriti 
romantici come quello di Stenio. È bello sedersi dalla parte del torto e
 dei vinti.
Solinas ricorda le vittime neofasciste degli anni di piombo, ma ha 
l'onestà civile e morale di provare vergogna per alcune brutte storie 
che segnarono quel mondo, come lo stupro di Franca Rame.
Ha ragione Solinas a notare che il cosiddetto ventennio berlusconiano
 sia stato piuttosto il ventennio dominato dall'ossessione 
antiberlusconiana. Onesto è il suo bilancio di Berlusconi e di Grillo, 
che ne è la prosecuzione e la negazione al contempo con altri mezzi.
Alla fine, forse anche per Solinas, come per Nanni Moretti, si fa 
struggente il ricordo amaro e dolce dei nostri vent'anni, cantato da 
Bruno Lauzi in Ritornerai. Di quel cammino resterà un'impronta lieve sui
 sentieri dell'anima.
(di Marcello Veneziani)
 

 
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