Castelsardo (Sassari) - Il porticciolo di Castelsardo è un gioiello anche spazzato dal maestrale, attrezzato e in ordine, protetto dal castello medievale dei Doria che resiste in cima al promontorio. Ottocento posti che accolgono natanti lunghi fino a 30 metri, l'orgoglio del giovane sindaco Franco Cuccureddu, presidente della Rete dei porti della Sardegna. «Sa quante barche qui hanno pagato la tassa sul lusso? Nessuna. L'abbiamo ufficialmente boicottata e i fatti ci hanno dato ragione».
I fatti sono che il governatore dimissionario ha fatto di tutto per smantellare la fetta più redditizia del turismo sardo, quella dei vacanzieri ricchi, che hanno (o vorrebbero avere) la villa fronte mare, atterrano in elicottero o attraccano con lo yacht e spendono, spendono, spendono. «Cento battelli valgono centomila camperisti - dice Cuccureddu -. Ogni passeggero di una barca di 40 metri spende mille euro al giorno, stima prudente. La Sardegna non può puntare sul turismo di massa ma su quello di qualità».
Politica opposta a quella di Mister Tiscali. «Pochi giorni dopo la sua vittoria elettorale - racconta il sindaco, ora candidato per l'Mpa con Ugo Cappellacci - incontrai un docente universitario di antropologia che aveva contribuito a scrivere il programma di Soru. Mi disse: dobbiamo sommessamente uscire dal turismo, è la mercificazione dell'ospitalità dei sardi, è un disvalore, non possiamo svenderla. Pensavo fosse una battuta, al massimo la strampalata teoria di un accademico».
Invece era una sintesi programmatica. Soru ha cominciato cancellando le agenzie del turismo (l'Ente sardo industria e turismo, gli Enti provinciali del turismo e le Aziende di soggiorno). Erano le strutture che sul territorio facevano la promozione, assegnavano le stelle agli alberghi e raccoglievano i dati statistici. Tutto sparito, eliminato l'unico termometro che analizzava i flussi. Le competenze dovevano passare all'assessorato regionale al Turismo, a sua volta soppresso dalla legge statutaria.
Un'altra legnata si è abbattuta con il piano paesaggistico, che non ha soltanto vietato (salvo deroga concordata direttamente con il governatore) di costruire alberghi fuori dei centri abitati, ma prevedeva di eliminare la segnaletica turistica: cartelli e frecce imbruttivano l'isola. Il Tar ha annullato il provvedimento. «Girava la battuta che Soru avesse interessi in qualche ditta di navigatori» scherza Cuccureddu.
Ma la mina più grossa per l'immagine della Sardegna è stata la tassa sul lusso, la stangata su seconde case, approdo delle barche sopra i 14 metri, scalo dei velivoli. Se sei ricco, per mettere piede sull'isola paghi. Una sorta di dazio medievale. Un provvedimento così sconclusionato che costava più di quanto fruttava, perché le spese di riscossione affidata alla forestale erano maggiori del gettito (1,5 milioni di euro nel 2006), e che continua a pesare sulle casse pubbliche: siccome la Corte costituzionale ha abolito il grosso della tassa, Soru ha dovuto istituire un ufficio per restituire i prelievi non dovuti.
Il danno di immagine sul turismo è incalcolabile. Dall’1 giugno al 30 settembre 2005, nei 13 scali della Rete porti (tra cui Alghero, Arbatax, Santa Teresa di Gallura e La Maddalena) erano attraccate 1741 imbarcazioni sopra i 14 metri; nello stesso periodo del 2006, dopo l'introduzione della tassa, 1007: il 42,2 per cento in meno, crollo consolidato nel 2007 e 2008. In Corsica hanno tappezzato le capitanerie di porto con le tariffe sarde: si fregano ancora le mani.
I servizi legati alla nautica (agenzie, ristoranti, tassisti, benzinai) hanno perso il 30 per cento del fatturato. Alcuni porti hanno dovuto alzare le tariffe di ormeggio annuali, e i proprietari di queste barche è prevalentemente gente del posto. Più che sul lusso, è una tassa sui sardi. Da molti Paesi europei sono piovute disdette di accordi già stipulati: «A seguito assurda tassa desisteremo da visite alla Sardegna», ha scritto la potente Adac tedesca.
In un'intervista all'agenzia Reuters del luglio 2007, rilanciata da giornali e tv di tutto il mondo, il governatore si giustificò così: «Pranzare in un ristorante sardo può costare 5000 euro, e non c'è una tassa regionale». Mille euro per un posto barca (che salivano a 15mila per quelle di oltre 60 metri), 5000 per sedersi a tavola: la Sardegna di Soru è l'isola di Tafazzi.
I fatti sono che il governatore dimissionario ha fatto di tutto per smantellare la fetta più redditizia del turismo sardo, quella dei vacanzieri ricchi, che hanno (o vorrebbero avere) la villa fronte mare, atterrano in elicottero o attraccano con lo yacht e spendono, spendono, spendono. «Cento battelli valgono centomila camperisti - dice Cuccureddu -. Ogni passeggero di una barca di 40 metri spende mille euro al giorno, stima prudente. La Sardegna non può puntare sul turismo di massa ma su quello di qualità».
Politica opposta a quella di Mister Tiscali. «Pochi giorni dopo la sua vittoria elettorale - racconta il sindaco, ora candidato per l'Mpa con Ugo Cappellacci - incontrai un docente universitario di antropologia che aveva contribuito a scrivere il programma di Soru. Mi disse: dobbiamo sommessamente uscire dal turismo, è la mercificazione dell'ospitalità dei sardi, è un disvalore, non possiamo svenderla. Pensavo fosse una battuta, al massimo la strampalata teoria di un accademico».
Invece era una sintesi programmatica. Soru ha cominciato cancellando le agenzie del turismo (l'Ente sardo industria e turismo, gli Enti provinciali del turismo e le Aziende di soggiorno). Erano le strutture che sul territorio facevano la promozione, assegnavano le stelle agli alberghi e raccoglievano i dati statistici. Tutto sparito, eliminato l'unico termometro che analizzava i flussi. Le competenze dovevano passare all'assessorato regionale al Turismo, a sua volta soppresso dalla legge statutaria.
Un'altra legnata si è abbattuta con il piano paesaggistico, che non ha soltanto vietato (salvo deroga concordata direttamente con il governatore) di costruire alberghi fuori dei centri abitati, ma prevedeva di eliminare la segnaletica turistica: cartelli e frecce imbruttivano l'isola. Il Tar ha annullato il provvedimento. «Girava la battuta che Soru avesse interessi in qualche ditta di navigatori» scherza Cuccureddu.
Ma la mina più grossa per l'immagine della Sardegna è stata la tassa sul lusso, la stangata su seconde case, approdo delle barche sopra i 14 metri, scalo dei velivoli. Se sei ricco, per mettere piede sull'isola paghi. Una sorta di dazio medievale. Un provvedimento così sconclusionato che costava più di quanto fruttava, perché le spese di riscossione affidata alla forestale erano maggiori del gettito (1,5 milioni di euro nel 2006), e che continua a pesare sulle casse pubbliche: siccome la Corte costituzionale ha abolito il grosso della tassa, Soru ha dovuto istituire un ufficio per restituire i prelievi non dovuti.
Il danno di immagine sul turismo è incalcolabile. Dall’1 giugno al 30 settembre 2005, nei 13 scali della Rete porti (tra cui Alghero, Arbatax, Santa Teresa di Gallura e La Maddalena) erano attraccate 1741 imbarcazioni sopra i 14 metri; nello stesso periodo del 2006, dopo l'introduzione della tassa, 1007: il 42,2 per cento in meno, crollo consolidato nel 2007 e 2008. In Corsica hanno tappezzato le capitanerie di porto con le tariffe sarde: si fregano ancora le mani.
I servizi legati alla nautica (agenzie, ristoranti, tassisti, benzinai) hanno perso il 30 per cento del fatturato. Alcuni porti hanno dovuto alzare le tariffe di ormeggio annuali, e i proprietari di queste barche è prevalentemente gente del posto. Più che sul lusso, è una tassa sui sardi. Da molti Paesi europei sono piovute disdette di accordi già stipulati: «A seguito assurda tassa desisteremo da visite alla Sardegna», ha scritto la potente Adac tedesca.
In un'intervista all'agenzia Reuters del luglio 2007, rilanciata da giornali e tv di tutto il mondo, il governatore si giustificò così: «Pranzare in un ristorante sardo può costare 5000 euro, e non c'è una tassa regionale». Mille euro per un posto barca (che salivano a 15mila per quelle di oltre 60 metri), 5000 per sedersi a tavola: la Sardegna di Soru è l'isola di Tafazzi.
di Stefano Filippi (www.ilgiornale.it)
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