Sarà stato per il luogo, il millenario monastero camaldolese di
Valledacqua, sperso sugli Appennini piceni. Sarà stato per l'atmosfera, a
metà fra la concentrazione della clausura e l'attesa del conclave. Ma
non sono mancati i buoni propositi e gli entusiasmi fra coloro che
domenica hanno raccolto l'invito di Renato Besana e Marcello Veneziani a
«tornare a Itaca».
Un richiamo a un «rientro in patria» diretto a tutti gli intellettuali
di centro-destra (ma per lo più ultimi epigoni di area Msi-An) che si
ritengono apolidi della politica e vittime della frantumazione del
progetto del Pdl. Sessanta fra pensatori e giornalisti (fra cui molti
nomi noti nel panorama culturale, come Gennaro Sangiuliano, Adolfo
Morganti, Sandro Giovannini, Fabio Torriero, oltre alle adesioni di
Pietrangelo Buttafuoco e Gianfranco de Turris), partendo dall'assunto di
conclusione di un ciclo ventennale che ha visto il dibattito nazionale
avvitarsi fra berlusconiani e antiberlusconiani, si sono confrontati sui
modi da adottare per affrontare la sfida del futuro. Alla ricerca di
un'area di rappresentanza comune che riunisca precedenti esperienze ora
disperse.
Gli autoconvocati di Valledacqua hanno individuato nel ristabilimento
della supremazia della politica sull'economia e sui tecnici (il
presidente Monti a più riprese è stato indicato come «rappresentante di
un governo d'occupazione») ma anche nella sua salvaguardia dai
politicanti («causa della disaffezione dei cittadini dalla vita civile»)
i cardini di ogni possibile iniziativa futura. Già perché il lavoro
avviato a Valledacqua non vuole limitarsi a essere un'esperienza
culturale ma un'officina prepolitica ove costruire una proposta
«alternativa - come detto da Renato Besana - alla sovietizzazione
dell'economia mondialista». Con poca nostalgia verso il passato, ma
ancora con tratti «volutamente semiclandestini», i naviganti verso Itaca
si definiscono «maieuti», pronti a confrontarsi coi politici attraverso
la costituzione di un movimento. Ma senza compromessi, anzi
riaffermando i principi patrimonio della destra italiana: il valore
dell'identità greco-romano-cristiana della nostra civiltà e il
patriottismo della tradizione più che della Costituzione del 1948.
Non tutti fra i presenti però si sono trovati d'accordo. Pasquale
Squitieri, infastidito da un intervento circa la necessità di proporre
in politica volti nuovi, lascia la sala. E non tutti hanno risposto
all'appello. Si è sfilato, fra gli altri, anche Franco Cardini, con una
struggente riflessione che mescola Itaca a Troia, la vittoria di Lepanto
alla sconfitta dell'Invicibile Armada, Ulisse («l'eroe fraudolento») a
Ettore («nobile domatore di cavalli»), in nome di un passato ideale che
non può più tornare e di un futuro da costruire partendo da esperienze
del tutto personali. Ma l'impolitica disillusione dell'illustre
medievista non sembra contagiare gli intellettuali di Valledacqua che si
affacciano all'agone. Resta ora da verificare in che modo questo
progetto si misurerà con le emergenze materiali dell'Italia e degli
Italiani, senza naufragare fra concetti e richiami mitico-storici. Come
rimane tutta da costruire una piattaforma che possa tenere insieme un
mondo così composito e, per sua intrinseca natura, tendente al
particolarismo e all'autoreferenzialità. Un progetto che possa
riconquistare una fetta degli astensionisti e fornire nuove motivazioni
ai giovani. Ma su tutto si staglia l'ombra del Cavaliere che si sta
riaffacciando sulla scena. E gli intellettuali di Valledacqua non
potranno non tenerne conto.
(di Gianluca Montinaro)
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