Giano Accame ha un record unico tra i "giovani di Salò": si arruolò la mattina del 25 aprile 1945 "la sera ero già in galera. Non ho mai fatto il 'miles gloriosus' anche per questo. Avevo 16 anni". Alle spalle Accame ha una carriera prestigiosa di intellettuale apprezzato e stimato anche a sinistra. Più volte ha duramente criticato Gianfranco Fini per le sue scelte e posizioni.
Oggi esprime un giudizio diverso, mentre segue An sciogliersi nel Pdl e presentarsi per l'adesione al Ppe. "Quello di Fini è un lucido e crudo atto di realismo politico", dice Accame all'ANSA. Accame ha un percorso molto particolare nella destra. Fu tra i relatori al convegno sulla "Guerra rivoluzionaria", nel '65, che getto' le base teoriche della strategia della tensione, dirigente missino fino al '68, tra i piu' stretti collaboratori di Randolfo Pacciardi, padre del presidenzialismo italiano, redattore delle più importante riviste della destra, direttore per molto tempo de 'Il secolo d'Italià. Durissima fu la sua critica a Fini che parlava del fascismo come 'male assoluto' ("quello non sa un cazzo ma lo dice benissimo", commentò). Oggi però guarda all'andare in cantina della Fiamma come di un necessario fatto imposto dai tempi. "Fini ha fatto bene a de-ideologizzare il partito, a sgravarlo del peso della sua storia.
Una scelta necessaria. Fini non brilla sempre per eccesso di eleganza ma per crudo realismo. Ha capito per tempo che l'era delle ideologie appartiene al passato. La fedeltà a queste ultime appartiene alla bottega del passato e, nella seconda metà del secolo scorso, pagava ed era un valore, oggi non più". Accame è molto attento al versante culturale di questa ennesima e decisiva svolta. Ci sarà una emarginazione, quanto meno culturale, per una certa cultura dopo l'abbandono della Fiamma? "Io ho cercato per tanto tempo le ragioni della mia scelta fatta a Salò. Ho trovato una risposta preparando una serie di ritratti di grandi intellettuali scomodi della destra. Ebbene come non accorgersi che il più grande filosofo del Novecento è Haidegger, dove collocare Ezra Pound, Gentile, Pirandello, Marconi, Miscima, Marinetti. Hanno espresso il meglio del Novecento. Come mai emarginarli se sono ormai pubblicati dai più grandi editori, anche di sinistra in Italia? Forse l'unico che paga ancora un ostracismo è Julius Evola ma arriva da chi non lo ha letto".
Fini ha quindi fatto la cosa giusta? "Perché rivolgersi ad un 10-15% degli elettori quando ci si può rivolgere ad una platea molto più alta e a cavallo del 50%? Oggi le ideologie, quelle che hanno dominato il Novecento e che sono state il patrimonio della seconda metà del seconda metà del secolo scorso, pesano molto di meno. Fini ha tolto il peso che gravava ancora su An. Un peso che invece ancora blocca e paralizza la sinistra". Qual è l'esigenza più importante da salvaguardare nella unione con Fi? "La saldatura tra visioni e posizioni nazionali, religiose e sociali. E' la base di questa nuova realtà che ora vuole una sintesi, non una miscela. C'é ad esempio dopo Auschwitz e Hiroshima il bellicismo non può più essere concepibile ma serve un vero contrasto alla guerra". Qual è il rischio maggiore? "La deitelogizzazione può portare ad un eccesso di pragmatismo e quindi anche, in una ulteriore degenerazione che scade nell'affarismo. E' un rischio che va sempre tenuto da conto". Accame comunque colloca questa svolta nell'orizzonte del superamento delle ideologie, "oltre la destra, oltre la sinistra - dice ricordando lo slogan sempre caro alla destra sociale dell'Msi - il vero ambito in cui si muove questa fusione é quello della deteilogizzazione, una scelta che è positiva ma che impone nuove analisi, nuovi modi di essere, nuove sfide. La globalizzazione non è stata quel fenomeno negativo che oggi si tende a raffigurare".
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