Non riesco a provare antipatia per Max, Cicci e Andrè che pure occupano con i loro corpi, i loro birignao gay e i loro sgargianti asciugamani il mio scoglio di Talamone. Non riesco a capire come si possa aggredire una persona perché è omosessuale. Mi pare rozzo e pure stupido, quasi quanto chi propone leggi ad hoc per salvaguardare i gay come se fossero una specie protetta o una fragile cristalleria da tutelare come bene pubblico e cagionevole. In un paese civile dovrebbero bastare le leggi che valgono per tutti. Ma l'occasione delle recenti aggressioni ai gay è stata ghiotta per riprendere la celebrazione pubblica dell'omosessualità e la condanna di chi non si compiace per la pervasiva presenza di un immaginario gay che colonizza ormai la società.Non voglio far prediche, preferisco partire dalla realtà, parlando di persone vere. I tre gay che ho citato non sono figure retoriche, ma reali. Ho disordinato i loro nomignoli ma sono davvero là, su quello scoglio in vacanza da Roma: lei, Max, è la femminona del trio, un incrocio tra un lottatore di sumo e una massaia obesa, liscia e abbronzata nelle sue rotondità lucenti, con una raggiera di capelli biondi arruffati ed una risata fragorosa, in falsetto. Poi c'è, non so come definirlo, il capo famiglia, con i capelli biondi legati a ciuppillo, come si diceva da noi delle casalinghe con la cipolla in testa, che governa il gruppo e sforna ogni mattina gustose frittate, con variazioni quotidiane e annuncio pubblico (oggi è di patate). Infine c'è il ragazzo, il pupo, il belloccio, più taciturno, magro e con capelli corti ma biondo-accecanti per denotare l'affiliazione al gruppo. Viaggiano in Mini Minor e scendono tardi al mare, la gente lascia loro la punta prelibata dello scoglio per una sorta di cavalleria o di usucapione.Mi colpisce la loro voglia di amicizia, le loro carinerie per acquisire simpatia e farsi accettare, la premura con cui salutano tutti e a tutti offrono frittata mista, che è un po' il simbolo della loro vita. Su di me, per esempio, appena mi hanno conosciuto, si sono documentati e il giorno dopo che li ho conosciuti sono venuti preparati, avevano visto su internet vita e opere. Anche per rimediare all'amabile gaffe del primo giorno quando uno di loro, riconoscendomi come giornalista e scrittore, mi ha chiesto se fossi criminologo. Ho risposto che criminale forse sì, ma criminologo lo dica a sua sorella. Non ho ben capito i loro rispettivi ruoli nella vita intima e sessuale, ma non mi interessa saperlo. Mi colpisce di loro questa gioconda maturità, che mette allegria e tristezza. Il gay, e il trans in particolare, nell'ansia di travestirsi e di vivere la propria diversità, resta legato ad una specie di avvizzita infanzia e di sgualcita teatralità, che lo spinge a giocare per darsi un ruolo e a travestirsi per sancire l'asimmetria rispetto all'anagrafe e all'anatomia. Non ho difficoltà a riconoscere nella loro vita un disordine di fondo, come dicono i teologi, anche se mi riesce difficile trovare in giro vite ordinate.La loro sembra un'identità gioiosa quanto sofferta, preadolescenziale ma quasi costretta all'immaturità, la pubertà come un ergastolo e una maschera permanente. Poi vedo in giro tra coppie scoppiate, famiglie senza figli, e avverto tanta insofferenza, me compreso, verso i rari bambini al loro primo frignare, in spiaggia, in aereo, al ristorante o in albergo. Capisco che un'epoca nata narcisista finisce omosessuale, ama nel suo sesso solo se stessa, la propria individualità accresciuta, non è capace di proiettarsi nella vera diversità, che è etero, e poi nella famiglia, nella procreazione. Ognuno si vive addosso, vive allo specchio e l'omosessualità fotografa e realizza la condizione presente. Se ci fosse uno Schopenhauer del Duemila direbbe che l'astuzia della specie ha deciso di portarci alla morte demografica anche in questo modo, alimentando pulsioni omosessuali.
Di tutto questo non voglio far scontare nulla a Max, Cicci e Andrè, a cui mando virtuali orchidee in cambio di frittata. So distinguere l'errore dagli erranti e sono convinto che una sessualità non disposta a procreare sia una distorsione del disegno naturale - e per chi crede, soprannaturale - di perpetuare la vita e fondare le famiglie. Non un peccato e tantomeno una ragione di disprezzo o di odio, ma un errore. Spesso mi trovo a dover considerare la loro umanità, e i loro gusti, la loro sensibilità, la loro affabilità e cortesia, mediamente più viva di quella dei cosiddetti etero. Mi piacerebbe solo che non si confondesse un'inclinazione privata con un modello pubblico. L'omosessualità è un diritto, la sfilata gay è invece un esibizionismo che mortifica la loro dignità e la rende caricaturale. Vorrei che i bambini e gli adolescenti fossero educati al piacere e al dovere di formare una famiglia e non al primato assoluto dei desideri soggettivi; senza penalizzare chi per inclinazione naturale o per scelta poi si sottrae. Vorrei che non si ponesse sullo stesso piano una famiglia con padre madre e figli ad un triangolo omosessuale. Vorrei che si tutelasse pubblicamente la famiglia, come un bene pubblico, sociale e civile, naturale e culturale; lasciando le altre unioni, occasionali o omosessuali, alla libera sfera del diritto privato. Mi piacerebbe vivere in una società che coltivasse valori pubblici e poi lasciasse a ciascuno nella propria vita la facoltà di assumersi le responsabilità di una scelta diversa, sulla sessualità e la famiglia, la bioetica e l'eutanasia. Ognuno viva come ritiene di farlo, a patto di non danneggiare il prossimo. Ma una comunità che voglia dirsi civiltà abbia pure il coraggio di indicare i valori comuni e non considerarli occasionali, neutri e soggettivi. Una comunità libera e civile non impone valori ma non si sottrae a educare e orientare.Per il resto dico a Max, Cicci e Andrè: dividiamoci lo scoglio e la frittata. E chi arriva prima si prende il posto migliore, senza priority omo o etero.
(di Marcello Veneziani)
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