chiedo ospitalità perché ci sono attorno a noi, in questa Italia con il sangue agli occhi, molti marciatori senza marcia, gente come lo storico manganellatore Sergio Luzzatto - e tra poco te ne chiarirò i motivi - cui sarebbe piaciuto partecipare alla presa della Bastiglia, del palazzo d’Inverno e perfino alla Marcia su Roma. Anche se, naturalmente, al momento di una vera marcia, Luzzatto indosserebbe gli scarponi da soldato solo in metafora, stando magari nascosto in un convento, a coltivare l’odio come ebbrezza del cuore. Vengo al dunque: a suo tempo, il Governo Prodi, nella persona di Francesco Rutelli, ministro per i Beni Culturali, mi nominò nel comitato dei garanti per le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Ne fui onorato soprattutto perché a guidare il gruppo dei garanti c’era, e c’è ancora, Carlo Azeglio Ciampi, l’ex Capo dello Stato che mi ha altresì voluto con sé nel ristretto comitato di presidenza. Sul Sole 24 Ore di ieri c’è dunque Luzzatto che s’è preso di petto il 150° accusando l’attuale governo, nella persona di «livello» (basso, ovviamente) di Sandro Bondi, di aver utilizzato una sorta di manuale Cencelli al fine di porre l’anniversario dell’Unità sotto il segno della «memoria condivisa». A un certo punto Luzzatto si è chiesto: «Che cosa garantisce per esempio il garante Pietrangelo Buttafuoco, noto giornalista di estrema destra? Quale idea della storia d’Italia, quale memoria delle nostre vicende collettive? Forse la speranza che le celebrazioni dell’Unità nazionale arrivino a comprendere anche la marcia su Roma, “bellissima marcia”, scrisse Buttafuoco sul Foglio del 2 aprile 2004?». Capisco di essere il suo chiodo fisso: anni fa Luzzatto scatenò una campagna violenta contro di me per evitare che vincessi il Campiello con il mio romanzo Le uova del Drago. E se lo dice lui che ho definito «bellissima» la Marcia - lui che mi fa il grande onore di collezionare tutto ciò che scrivo - non posso certo contraddirlo. Ricordo di aver perfino fatto, credo in quel 2 aprile, o magari un altro giorno (lui solo lo sa), l’elogio di Mino Maccari che in quel 28 ottobre 1922 alzò al cielo il motto: «O Roma, o Orte». Ho perfino fatto, come ben sa lui che mi colleziona, l’elogio di San Padre Pio che a sua volta elogiava «il manganello di Peppino Caradonna». Ecco, capisco di buttarla troppo in avanspettacolo facendo torto al suo mestiere di odiatore, ma se lui per fascista intende un intollerante, uno che per meglio calunniare il proprio avversario lo deforma, ebbene, in questo caso il fascista è lui. E mi scuso con i fascisti che sono tutti morti. I fascisti, così come i comunisti, erano fascisti e comunisti quando c’erano il fascismo e il comunismo. Cercarli oggi, scimmiottando sentimenti che non ci appartengono, è ridicolo. Nel suo caso, il militare in idee-cadaveri è anche vigliacco. Insomma, Luzzatto è solo un odiatore da tavolino che - fortuna sua - traffica non in marce ma in cattedre, non in rivoluzioni ma in concorsi e collaborazioni editoriali protette dalla Confindustria e da Gianni Riotta, celebrato finto avversario compiacente del Governo Berlusconi. Lui, il simpatico odiatore Luzzatto ovviamente ha diritto di vedermi come vuole: étoile della Scala, pescatore di trote, compagno di merende... o appunto. Lui che ha letto tutto di me avrà certamente divorato il mio Cabaret Voltaire, dove la butto proprio brutta con la destra, a maggior ragione con l’estrema xenofoba visto che io, da quel dì, campo di pane e studio dell’Islam. Di pane e studio dell’India. Di pane e studio della sublime tradizione sciamanica siberiana. Tutto ciò per portare al tavolo dei garanti anche Roma, proprio nel senso di Roma Orma Amor: l’idea primigenia dell’Italia. Quella di Virgilio, prof. Luzzatto, non quella dei Quadrumviri del 1922. E torno ancora un attimo al «noto giornalista d’estrema destra», dunque. Il certosino collezionista odiatore ha scritto così, ma voleva dire giornalista fascista e antisemita, giusto per linciarmi. Perché, ebbene sì, io sono il suo doppio, la sua paura, il suo fantasma: colpisce in me l’intollerante che si agita in lui. Caro Giornale, da quando mi sono accorto che lo squadrista Luzzatto raccoglie tutti i miei articoli, dal Foglio a Panorama, ho raggiunto una nuova, più matura sicurezza. Grazie a lui, infatti, ogni mio pezzo di carta non va perso. E confesso che nei miei articoli metto sempre una frase per lui. Tipo: «I nazisti almeno vestivano bene». Tanto lui ci casca sempre. So insomma come alimentare la sua morbosa passione. Pensate che il mio caporedattore mi prende perfino in giro: «Mi raccomando, Buttafuoco, non dimenticare la frase per Luzzatto!».
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