La vera destra, appunto, è quella raccontata dai redattori del Secolo. È quella che con tutti i padri nobili del conservatorismo, del polemismo borghese e antiborghese, del pragmatismo nazionale e cosmopolita dei Giuseppe Prezzolini fa il Novecento. La vera destra è certamente quella evocata nella testimonianza di Michele Serra, giustamente identificata nella patria reazionaria dei galantuomini. Ed è quella che dalla stagione prefascista accompagna l’Italia nell’alveo culturale di una memoria: la civiltà universale di Roma. Certo che la vera destra è quella spiegata dal Secolo d’Italia. Solo che questa chimera della destra non è credibile in bocca a Gianfranco Fini. Altrimenti non si capisce come mai nel mettere in elenco i momenti migliori del Msi, Pino Romualdi e Beppe Niccolai per esempio, omaggiati dal giornale di via della Scrofa, si eviti di spiegare un unico dettaglio: come mai Gianfranco Fini era sempre contro e fuori questi momenti migliori. Nel Msi lui è stato il capo di un’area retriva e nostalgica. Era contro anche quel Pino Rauti che, con la sua teoria dello sfondamento a sinistra, con la sua lungimiranza di calabrese sognatore, potrebbe essere il vero precursore del Fini di oggi se solo si volesse essere maliziosi ma noi, caro direttore, vogliamo la serenità di giudizio.
Basterebbe, infatti, riascoltare attraverso l’archivio di Radio Radicale i tanti congressi di quel partito per ritrovare l’avanguardia e la lucida capacità d’analisi di quei capi missini contro il balbettio perbenista dei gerarchi finiani; basterebbe rileggere la produzione intellettuale di ciò che era la Nuova Destra di Marco Tarchi per avere cognizione del livello di un mondo, così effervescente e curioso del dibattito culturale, da essere messo alla porta senza tanti complimenti dal finismo. Ovviamente gli strumenti intellettuali tra il fondatore di Ordine Nuovo e Fini sono diversi, non vogliamo certo maramaldeggiare facendogli degli esami, ma non si capisce proprio questo punto: perché dovrebbe essere lui l’erede di un mondo che lottò sempre? Lui che si lascia alle spalle la specchiata italianità di un Roberto Menia per sposare gli applausi del conformismo di sinistra? Se ci fosse corrispondenza tra ciò che dice, tra ciò che il Secolo gli fa dire, con ciò che pensa, come minimo dovrebbe chiamare Tomaso Staiti di Cuddia, erede e sintesi della storia dei Romualdi e dei Niccolai, e pregarlo di rientrare non senza avergli chiesto scusa. Se fosse vero che la destra di Fini è quella che Il Secolo gli cuce addosso dovrebbe innanzitutto convertirsi a quel Msi degli eretici cui fece guerra in nome del nostalgismo, e solo per spirito di bottega, e dovrebbe farlo anche in coerenza al suo essere oggi un antifascista.
Se il quotidiano di ciò che fu il Msi, ieri An, oggi componente finiana del PdL, sente la necessità di proteggere il proprio leader corredando la perorazione con ben sette pagine si capisce che il livello di tensione è alto. L’eredità del berlusconismo è posta troppo alta. Lo difendiamo anche noi, caro direttore, dagli attacchi dei detrattori, di tutti quelli che gli danno addosso vestendolo quale traditore, badogliano, pupo di pezza della sinistra, ultima vestale del politicamente corretto qual è ormai il presidente della Camera. Ma quello che lui dice, corrisponde a ciò pensa
(di Pietrangelo Buttafuoco)
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