sabato 26 settembre 2009

Il vero allarme civile? L'antitaliano Di Pietro

Toonine, Tooonine, ce diavule me cumbine? Avete mai provato a parlargli nel suo idioma prima di dire che Tonino Di Pietro non sente ragione? Vorrei tentare di parlargli da conterroneo a conterroneo e perfino da amico, come forse fui un tempo. Non tirerò colpi bassi, storie di finanziamenti pubblici e privati, lauree per corrispondenza o dishonoris causa, ombre personali e familiari. A costo di scontentare molti lettori del Giornale, dirò che non nutro antipatia per lui nonostante il suo sfascismo contro tutto ciò che è italiano, dal premier al congiuntivo. Sarà perché ho cugini al Sud di nome Tonino, ma considero Tonino Di Pietro un cugino di campagna. Mi ricorda troppo i ’zurri del sud, affettuoso nomignolo per indicare da noi i buzzurri; me lo vedo al bar o in piazza a litigare sui carciofi e le sgommate delle moto. In un ritratto che gli ho dedicato nel libro Sud, tratteggiando il suo stile tra la Guardia repubblicana e la Guardia campestre, notavo che a prima vista Tonino sembra l’autista di un ministro, ma poi quando lo senti parlare ti accorgi che lo avevi sopravvalutato.
Tifai Di Pietro ai tempi di Mani pulite e non me ne vergogno. Pensai che ci volesse davvero un po’ di piazza pulita contro il malaffare e non ritenni mai Di Pietro un agente segreto della sinistra togata. Ne conoscevo di tonini come lui al sud ed erano marescialli o militanti dell’Msi, magari sognavano un bel golpe per imporre legge e ordine. Certo, spaventava il suo furore, l’accanimento unilaterale delle indagini, ma la corruzione c’era, la necessità di un cambiamento pure, e non avremmo avuto Berlusconi, Bossi e Fini al governo senza Mani pulite. Non dimenticatelo, lui e voi.
Però ora l’Italia vive una situazione senza precedenti. Il leader morale e civile dell’opposizione è lui, Tonino Di Pietro. Vi rendete conto? Non è un’emergenza democratica, civile e politica questa? La sinistra sarà diffusa, come oggi si dice, esiste ovunque, meno che in politica. Dicesi Franceschini l’intervallo in bianco tra due leader rossi scoloriti. E dicesi sinistra la fettina di cotto schiacciata tra Berlusconi e Di Pietro. Il processo a Berlusconi, nei tribunali o nei parlamenti, europeo incluso, è di marca dipietresca; la sinistra si accoda, va faticosamente al suo rimorchio, è sua suddita. Loro sono la coda e isso è lu capo, Tonino da Montenero di Bisaccia, per usare un nome brigantesco. Mi diverte leggere i colti della sinistra che accusano il berlusconismo e il leghismo di essere incolti parvenu; ammazza la cultura che ferve a sinistra, se il loro capataz è Tonino Di Pietro, che ebbe per chiara fama una cattedra al Cepu.
A Di Pietro vorrei dire quattro cose. La prima è un bilancio della sua missione politica e giudiziaria: voleva eliminare la corruzione dalla politica, sterminare i socialisti, sfasciare Berlusconi. Ammetti, Tonino caro, che non ci sei riuscito. Il malaffare fiorisce trasversale, sinistra inclusa, il malcostume non ne parliamo; i socialisti sono rifioriti nel centrodestra e sono tra i migliori ministri, e Berlusconi governa senza golpe ma con quell’arma civile che si chiama voto, ovvero il libero consenso degli italiani. Missione fallita su tutti i fronti.
La seconda è un appello non più da terrone a terrone ma da italiano a italiano: non puoi gettare palate di fango sul tuo Paese, affittare pagine di giornali stranieri, portare in europarlamento la storia ridicola delle querele per attaccare il premier e di conseguenza la maggioranza degli italiani che lo hanno votato, lasciando credere che viviamo nella dittatura di Bananas. Sai bene che quella campagna viene tradotta in discredito per l’Italia intera. Perché sai bene che la stessa sinistra, quando attacca Berlusconi sul piano pubblico e privato, gli rimprovera di essere arcitaliano e di incarnare l’autobiografia della nazione (mentre loro evidentemente sono l’autopsia della nazione). Insomma, per sfasciare Berlusconi state sfasciando il Paese e la sua immagine nel mondo, ingigantendo storielle di malcostume, semplici querele e vicende private, cancellando l’azione di governo e l’ottima considerazione conquistata nei rapporti con i leader del pianeta. Berlusconi va all’Aquila e voi tra i corvi. Terza riflessione. Se un giorno si farà la storia di questi anni si scriverà che il populismo in Italia ebbe tre varianti: Bossi, Berlusconi e Di Pietro. Più contorno di Santoro. Non giocarti questo alone residuo di genuina popolarità, non prestarti come guardia giurata dei poteri grossi, una specie di Catozzo in servizio davanti a banche e palazzi della City. Ti vogliono usare come vigilante della notte e poi gettarti. Ti esaltano in pubblico ma in salotto ridono alle tue spalle, come leader delle brigate rozze.
Ma soprattutto una raccomandazione finale sento di fare al leader di Forca Italia: Tonino mio, tieniti caro Berlusconi, perché senza di lui perdi il mestiere, i voti e la ragion politica. Tutta la tua carriera è stata fatta in suo nome e per la sua presenza; se Berlusconi si ritirasse dalla politica, anche tu dovresti disotterrare la zappa e tornare in campagna. Dalle auto blu al trattore. L’Italia dei valori si sgonfierebbe come un pallone. Perciò tienitelo stretto, il Cavaliere. L’alternativa è secca: se Berlusconi è il male, tu sorto per combatterlo, perderesti con il suo ritiro la ragione di esistere come berluschicida. Se invece i mali da voi denunciati sopravviveranno al governo Berlusconi vorrà dire che avevate clamorosamente sbagliato diagnosi e dunque non sarete più credibili. Perciò godi Tonino mio, età soave è cotesta, altro dirti non vo. Scusa la lingua dialettale, ma è la poesia di un rozzo marchigiano di provincia, nato in un borgo selvaggio, che spiava volgari donzellette di campagna.
(di Marcello Veneziani)

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