Ma chi sono davvero i sessantottini? Cosa volevano veramente? Proviamo a delineane brevemente alcuni connottati identitari che ne hanno fatto oggi una delle migliori razze al potere.
Il sessantottino nasce a cavallo degli anni cinquanta e trascorre un'infanzia nel periodo del boom economico e nell'epoca del buonismo mondiale, incarnato dal volto buono di John Kennedy, dal comunista dal volto umano di Nikita Chruscev e soprattutto da Giovanni XXIII, il Pontefice buono. Poi la gioventù sotto la cappa della riforma della scuola voluta dal centrosinistra, le melodie dei Beatles e i capelli lunghi: inizia a montare la protesta. Da ragazzo si diventa sessantottino. Dentro e fuori il partito comunista, ma persino contro di esso. Inizia il tirocinio ideologico che muterà in una vera e propria professione.
Ma la generazione si divide tra realisti e utopisti: i primi passano o restano nel partito comunista, i secondi girovagano nell'eclettico pianeta dell'extraparlamentarismo rosso. Si radicalizza il cristianesimo fino ad ibridarlo ad una succursale del socialismo. Nascono i preti operai e barricadieri, l'interpretazione del Vangelo in versione pauperista, le cattedre universitarie assaltate dai contestatori dei baroni per divenire essi stessi baroni-rossi.
Il Sessantotto perviene ad una sovversione della morale, ad una rivoluzione libertaria e “intraborghese” come lucidamente denunciato da Augusto Del Noce e Pierpaolo Pasolini. Si realizza il passaggio da una borghesia nazionale e legata al suo patrimonio religioso cristiano, ad una neo-borghesia apatica, sfrontata e priva di decenza.
Da oppositori feroci della cultura borghese ad adepti e burocrati della medesima. Alla fine degli anni '60 si compie lo smantellamento del Paese. A cominciare dallo Stato, con il rifiuto di ogni concezione selettiva e meritocratica della classe dirigente e parallelamente con la “statalizzazione” dei partiti. Dopo il '68 crescerà senza limiti l'espansione dei partiti nella società, nelle istituzioni e nel parastato. La partitocrazia, insita nel dna della repubblica antifascista, diventa onnicomprensiva e totalizzante. Gli ortodossi dell'utopia sono diventati i più cinici padroni di enti, giornali e cattedre. In definitiva, questo è il Paese dove chi contesta il potere lo detiene.
(di Longinus)
Ma la generazione si divide tra realisti e utopisti: i primi passano o restano nel partito comunista, i secondi girovagano nell'eclettico pianeta dell'extraparlamentarismo rosso. Si radicalizza il cristianesimo fino ad ibridarlo ad una succursale del socialismo. Nascono i preti operai e barricadieri, l'interpretazione del Vangelo in versione pauperista, le cattedre universitarie assaltate dai contestatori dei baroni per divenire essi stessi baroni-rossi.
Il Sessantotto perviene ad una sovversione della morale, ad una rivoluzione libertaria e “intraborghese” come lucidamente denunciato da Augusto Del Noce e Pierpaolo Pasolini. Si realizza il passaggio da una borghesia nazionale e legata al suo patrimonio religioso cristiano, ad una neo-borghesia apatica, sfrontata e priva di decenza.
Da oppositori feroci della cultura borghese ad adepti e burocrati della medesima. Alla fine degli anni '60 si compie lo smantellamento del Paese. A cominciare dallo Stato, con il rifiuto di ogni concezione selettiva e meritocratica della classe dirigente e parallelamente con la “statalizzazione” dei partiti. Dopo il '68 crescerà senza limiti l'espansione dei partiti nella società, nelle istituzioni e nel parastato. La partitocrazia, insita nel dna della repubblica antifascista, diventa onnicomprensiva e totalizzante. Gli ortodossi dell'utopia sono diventati i più cinici padroni di enti, giornali e cattedre. In definitiva, questo è il Paese dove chi contesta il potere lo detiene.
(di Longinus)
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