domenica 11 ottobre 2009

Norberto Bobbio. Il profeta progressista già superato 15 anni fa

Cinque anni dalla sua morte, cento dalla sua nascita, ma un millennio di distanza dal presente. Sorretto da due anniversari e da due ristampe, Norberto Bobbio torna ad allungare la sua ombra nei convegni, nei giornali e nelle librerie. Ma Bobbio è un autore del millennio scorso, legato al Novecento, di cui tracciò il profilo ideologico in cui rimase prigioniero.
Il saggio di cultura politica più venduto negli ultimi decenni resta il suo Destra e Sinistra, ma era già vecchio quando uscì, nel 1994, perché narrava di due nature morte; ora appare un pezzo d’antiquariato. All’epoca, il successo fu consacrato dalla nascita tardiva in Italia del bipolarismo e dalla necessità di capire cosa fosse quella creatura proibita chiamata destra, che era andata al governo, ormai svestita dal neofascismo, e cosa fosse quella strana creatura sbucciata dal comunismo, detta sinistra. Bobbio deve il successo del suo libro a Berlusconi che vince le elezioni, va al governo ed eccita i furori bipolari. Arrivammo al bipolarismo quando le categorie della politica erano già spente. Nacque allora il gioco interminabile su destra e sinistra, finalmente libere di scorrazzare dopo la tutela democristiana e la servitù fascista e comunista; ma fu come accade con la luce delle stelle che continua a riverberare sulla terra anni dopo la loro distruzione.
Lo notai già all’epoca con un libro in risposta a Bobbio, Sinistra e destra, edito da Vallecchi, che ebbe successo e innescò un carteggio con lui. Ma quel libretto che reputava ormai estenuate le categorie di destra e di sinistra delineate da Bobbio, oggi non lo ristamperei perché superato; figuriamoci il saggio di cui notava il logoramento. Il pamphlet di Bobbio svolse in quegli anni, e forse svolge ancora in modo residuale, la funzione rassicurante della coperta di Linus; aiuta a illudersi che destra e sinistra esistano ancora e offre una cuccia alle pigrizie. Nella sua autorevole ovvietà, rassicurava i pregiudizi stanchi della politica, offrendo dignità teorica ai luoghi comuni, alle logore appartenenze e al razzismo etico della sinistra. Nominalismo, ultima salvezza. Ma ora le due categorie sono sparite anche nominalmente dal Parlamento: nessuna forza si definisce più di destra o di sinistra, il poco che ancora persiste non ha più rappresentanza. Il Pds ha perso la s di sinistra, An non c’è più, di che parliamo? E se pure i leader della destra e della sinistra dicono che non ci sono più le categorie su cui hanno finora campato, che senso ha insistere a parlarvi?
Ma Donzelli ristampa in versione bignami, nella collana «Gli essenziali», un’edizione ridotta del già esile Destra e Sinistra. E Mondadori consacra nei Meridiani una selezione delle opere di Bobbio. Sono notevoli i suoi studi di filosofia del diritto, sulla teoria delle élite o quelli dedicati a Politica e cultura, ed è bello il suo De senectute. Nelle sue opere c’è chiarezza ai limiti dell’ovvietà, lucidità con cadute nel banale, onestà intellettuale salvo qualche omissione.
Quali sono i punti deboli del suo Destra e Sinistra? Innanzitutto il suo schema dualistico trascura le numerose contaminazioni tra destra e sinistra e gli svariati incroci, teorici e storici, e tralascia esperienze e culture irriducibili alle due categorie. Federalismo e localismo, comunitarismo e ambientalismo, cattolicesimo politico e liberalismo, pragmatismo, populismo e giustizialismo, dove si collocano? Così i grandi temi del nostro tempo, dalla biopolitica alla tecnocrazia, dalla globalizzazione alla difesa delle identità culturali e popolari, attraversano le due categorie e le scompongono infinite volte. Paradossalmente lo schema bipolare funziona fuori dalla politica, per esempio nella bioetica; ma ha senso denominarlo ancora con i suoi vecchi nomi?
Destra e sinistra non possono più essere definite attraverso la vecchia diade uguaglianza-diseguaglianza, come fa Bobbio. E tantomeno attraverso la vecchia divisione classista di proletari e borghesi o popolo ed élite, che semmai da anni funziona in senso inverso: le minoranze stanno a sinistra, il popolo a destra. Per Bobbio, poi, c’è asimmetria fra libertà e uguaglianza perché la libertà è un bene individuale e l’uguaglianza è un bene sociale. Ma anche la libertà, sul terreno politico, civile e giuridico, è un bene sociale, si esprime nel rapporto con gli altri, con il potere e con le leggi. Proprio come l’uguaglianza.
Poi Bobbio semplifica attribuendo alla destra il primato dell’economia e alla sinistra il primato della politica. In realtà l’economicismo attraversa la destra e la sinistra e le rende subalterne alla tecnica e al mercato; anzi, per la sinistra di derivazione marxista la politica è una sovrastruttura dei rapporti economici, che sono invece il fondamento. Meglio allora distinguere tra destre e sinistre che sostengono il primato dell’economia e destre e sinistre che viceversa affermano il primato della politica e della cultura (o della tradizione). In realtà il primato dell’economia non segna l’avvento della destra al potere, ma la dissoluzione delle categorie politiche a vantaggio della tecnofinanza. Poi non funziona più lo schema destra conservatrice degli assetti e sinistra progressista: la destra è spesso più modernizzatrice della sinistra, sia nella società che nelle istituzioni. Si pensi alla Costituzione: la sinistra la vuole conservare e la destra vuole cambiarla. Insomma la destra e la sinistra di Bobbio sono due vecchie ciabatte inservibili. Come il suo manicheismo antifascista e neo-illuminista.
Bobbio ha rappresentato il partito giacobino degli intellettuali scontenti, critico verso l’Italia reale nel nome di un’Italia ipotetica e minoritaria, figlia della Riforma e dei Lumi, oltre che della lotta al fascismo, considerato con Gobetti frutto della Controriforma (e il nazismo che nasce nella Germania riformata e protestante, è progressista?). Quel partito giacobino sopravvive oggi come potere intellettuale e come rancore settario, ma ha smesso di produrre opere originali e pensieri vivi. Di Bobbio ci resta la lezione del pessimismo, i suoi mea culpa, i suoi dubbi sull’aborto e il senso religioso, e sulla barbarie che si annida nella banale vacuità dei lumi odierni; tanta luce per rischiarare un deserto di idee e di valori. Alla fine, l’unica certezza che Bobbio lasciò fu la nobiltà del dubbio. Non è poco per un intellettuale onesto, ma non è abbastanza per considerarlo un classico. Bobbio è finito con il suo Novecento.
(di Marcello Veneziani)

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