domenica 8 novembre 2009

La Presa di Roma sul Secolo d'Italia


«Cosa succede quando la Capitale di un paese cambia colore politico dopo quindici anni? Chi sono gli uomini che oggi hanno in mano il vero controllo di Roma? Con le elezioni del 28 aprile 2008 vi è stata una storica inversione di rotta che ha sconvolto completamente la geografia del potere non solo romano ma anche italiano: il blocco di consenso legato al centrosinistra di Walter Veltroni si è sgretolato e il centrodestra di Gianni Alemanno ha conquistato Roma. Gli equilibri ormai logori della città sono crollati in un lampo: dalle periferie più disagiate, vecchie roccaforti rosse, alle lobby più intoccabili, si è assistito a una vera e propria rivoluzione. In quei mesi, e in quelli successivi, ci si è ritrovati di fronte a una realtà che si stava profondamente trasformando...».
Questa lunga citazione è l'avvio dell'introduzione di La presa di Roma (Rizzoli, pp. 220, € 9,80), primo saggio giornalistico dedicato alla "svolta" politica determonatasi nella primavera 2008 in Campidoglio e scritto da Claudio Cerasa, giovane cronista nato a Palermo e che da quattro anni è in forza alla redazione del Foglio. Un libro denso di informazioni, di riprese dalla stampa, di collegamenti ma che, purtroppo, risente un po' troppo di interpretazioni e schemi di lettura desunti da quella che potremmo ormai definire "la versione del Foglio". A fronte di un evidente sforzo teso a far emergere i cosiddetti nuovi detentori del potere romano e a delineare un presunto ritratto della nuova destra capitolina, si registra un eccesso di schematismo e la volontà di far rientrare tutto all'interno di un quadro unitario. Cerasa sostiene che per tentare di spiegare quanto è successo a Roma «bisogna entrare nella città che non si vede, parlare con le persone che la tengono in pugno, bisogna andare nelle stanze dei palazzi di potere, ascoltare le esigenze dei tassinari più agguerriti, dei circoli sportivi più esclusivi, i desideri delle zone più marginali, dei curvaroli, dei postfascisti. Bisogna osservare la storia e le posizioni dei costruttori, delle banche, degli imprenditori, della Chiesa. E mettere insieme le tessere di un mosaico di voci». Ma l'impressione è quella di un eccesso di velocità nella ricerca e qualche superficialità nella ricostruzione sotto l'urgenza di far rientrare i dati nell'interpretazione predefinita. Che sarebbe, in sostanza, quella di un presunto piano del sindaco Alemanno «per tentare nel 2013 di succedere all'attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi».
Da qui qualche citazione forse non verificata e anche inesatezze marginali ma che, nel complesso, appaiono come sintomi di un metodo che avrebbe richiesto maggiore rigore. Così, ad esempio, l'assessore alla Cultura Umberto Croppi, che aveva 52 anni nel 2008, diventa sessantenne, Così, senza verifica, si sostiene che l'assessore all'Urbanistica Marco Corsini sarebbe stato imposto da Gianni Letta. Così, ma gli esempi potrebbero continuare, si stabilisce un collegamento diretto tra l'esperienza dei Campi Hobbit - ma come avrebbe potuto uno dei promori di allora definirli «ritiri spiritual-muscolari»? - degli anni Settanta-Ottanta e il movimentismo di CasaPound che in realtà non solo non è corretta ma falsa la ricostruzione storica dei percorsi della destra giovanile degli ultimi decenni. Sullo stesso piano non corrisponde a come sono storicamente andate le cose la ricostruzione che si dà del rapporto tra una certa destra postfascista e Comunione e liberazione, vicenda che in realtà nasce nei primi anni Ottanta nei due atenei romani. Come si fa, poi, a presentare Fabio Rampelli come colui che a suo tempo avrebbe suggerito ad Alemanno di concentrarsi «sulla nuova generazione di fasci moderati». E a delineare Andrea Augello come l'espressione di una destra «considerata un po' pariola, un po' chic»?
Non mancano certo passaggi in cui ci si avvicina alla chiave del successo alemanniano: lo sfondamento nei settori ideologicamente schierati in precedenza a sinistra e territorialmente presenti nelle aree periferiche. «È nelle periferie - si legge in una citazione di Croppi - che ha cominciato a diffondersi una certa cultura che man mano è diventata dominante, che non ha più avuto bisogno di nascondersi in luoghi protetti e che ha finalmente preso il posto di quella portata avanti da quelle persone che fino a oggi avevano tentato di imporre a tutti i costi l'agenda culturale alla città». Ma su questo sono molto più utili le pagine del libro Populismo globale di Guido Caldiron - nel capitolo intitolato "Una destra normale" - o quelle di Ricominciamo dalle periferie (curato da Massimo Ilardi e Enzo Scandurra) in cui "da sinistra" ci si è interrogati sull'intera vicenda senza pregiudiziali. Qui, come abbiamo invece detto, sulla fenomenologia tende a prevalere la tesi. Che sarebbe quella riassunta nella frase finale dell'intero libro: «Alemanno ha fatto una scelta precisa e ha capito che ci vuole un po' di tutto, un po' di lobbisti e un po' di costruttori, un po' di tassisti e un po' di imprenditori, un po' di fascisti e un po' di assessori, per tentare di fare il colpaccio e per potersi un giorno presentare sulla vetta politica più importante d'Italia e bisbigliare la stessa parola sussurrata quella sera del 2008. Presa».

(di Luciano Lanna)

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