giovedì 5 novembre 2009

Pound e Céline: tutta qui la cultura della destra?

Altro che sento la parola “intellettuale” e metto mano alla rivoltella. Qualche anno fa, al Circolo della Stampa di Milano - in veste più di cronisti che di ex docenti -, fummo invitati dall’allora coordinatore nazionale di An Ignazio La Russa a moderare un convegno, “La cultura di destra”. Il titolo era pura fumisteria. Per rompere il ghiaccio con gli austeri oratori, estraemmo dalla memoria un Longanesi d’antàn: «Bè, allora, dieci minuti e abbiamo finito...». Non rise nessuno. Giusto l’accenno d’un sorriso di La Russa per evitarci la lapidazione. Il convegno fu, naturalmente, un disastro. Da allora, per noi, venne l’esilio da qualsiasi consesso culturale (se mai avessero avuto invenzione d’invitarci) della “destra”: sia da quella che aveva per riferimento “Il Domenicale” di Dell’Utri - la cui chiusura, oggi, è triste -; sia dalle convention iper-liberali dell’istituto Bruno Leoni; sia dal manipolo dei “fascisti immaginari” che ispirati da Luciano Lanna e Filippo Rossi occhieggiavano allora a Veltroni e che oggi, in parte confluiti nel fondazione “FareFuturo”, crescono vezzosamente a braccetto con i think thank di D’Alema. Poi dice che uno non si butta a sinistra, come diceva Totò. Perdonate la rievocazione. Ma è utile per concentrarsi sul concetto fumoso del cosiddetto “Pantheon culturale della destra”, che riemerge e si modifica solo a esclusiva fattura della solita, capricciosa oligarchia. La stessa che nel 2008 cancellò dalla hit parade della destra culturale «Evola, Croce e La Rochelle», per sostituirli con «Borges, Celine, Junger e Dostoevskij». Fu un blitz. Ci misero perfino «la chiaroveggenza di McLuhan», il quale, però, da La sposa meccanica in poi, era l’essere più liberal apparso sulla faccia della Terra; e il fatto che Noam Chomsky e Paul Brennan, l’autore della “teoria dei due comunismi” lo citino vorrà pur dire qualcosa. S’intravede, nella compilazione ansiogena di tali classifiche, un che di freudiano. Stenio Solinas, intellettuale che di solito si stacca dal gruppo, scrive: «Il punto è l’atteggiamento snobistico, dietro cui si nasconde un complesso di inferiorità, con cui ci si dichiara adepti di una “cultura” del fare...». Vero. E gli stessi ottimati che si fanno vessillo di tale cultura ibridata, un tempo per compiacere il Foglio (dove la maggior parte delle firme più illustri non aveva una laurea), e ora per accreditarsi presso i riformisti di Polito e i riformati di D’Alema, bè, quegli stessi intellettuali ci tengono assai al loro Pantheon.
E, insomma, mai nessuno, tra noi piccoli lettori liberali della stessa schiatta politica, che abbia gridato in pubblico quel che si sussurra in privato. E cioè che alcune delle colonne del “Pantheon” sono, in realtà, friabili capitelli. Non è vero che la punteggiatura di Céline (è come Proust: chi è riuscito a finire il Voyage au bout de la nuit ?) o la sintassi stroboscopica di Marinetti furono precursori del linguaggio: rendevano solo faticosa la lettura. Dei mondi incantati di Tolkien e C.S. Lewis fatti di hobbitt e leoni parlanti - ammettiamolo - non frega più niente a nessuno; Harry Potter e le bestiole della Pixar li hanno surclassati. Yukio Mishima ce lo ricordiamo solo per il suicidio con seppuku e per le storie di froci; meglio, allora, Takeshi Kitano, profeta del taoismo noir giapponese, ma soprattutto autore comico conservatore nella biografia-gioiello Asakusa Kid (Mondadori). Di Ezra Pound, i cui “Cantos”, fango di parole che tutti citano e nessuno ha letto, ormai, tra lettere e pizzini inediti, si raschia il fondo del barile. Idem per Giovanni Guareschi: le sue mitiche «200 parole per descrivere qualunque cosa» del Mondo Piccolo, si perdono nello spazio infinito dei social network.
A questo punto, conviene farcelo noi, un Pantheon personale, tenendo conto del concetto del maverick americano: il “vitello fuori dal branco” che salta gli staccati ideologici, per affermare non quello che rappresenta, ma quello che fa. I personaggi «adolescenti minorati» di Michel Houellebecq, per esempio, non valgono un’oncia di quelli individualisti, cocainomani e allegramente marci di Jay McInerney: a leggere Le mille luci di New York, e i racconti di Com’è finita, si realizza che D’Annunzio poteva tranquillamente vivere nell’America reaganiana. Stendiamo un velo sui pompatissimi esoterismi di Dan Brown: non valgono il grande affresco epico-orrorifico di Stephen King, 350 milioni di libri venduti (e un saggio, Danse Macabre, adottato dalle Università). Nella letteratura di genere il miglior reazionario di sempre è Jim Thompson, pubblicato in Italia solo da Fanucci. Thompson, l’inventore del noir aderì al Partito comunista americano nel ’29, e declinò sulla carta la decandenza della provincia Usa. E il Thompson argentino non è Borges, ma il di lui allievo Adolfo Bioy Casares specialista dell’irrealtà poliziesca pubblicato, da noi, solo da Cavallo di ferro. E ancora noi si sta lì a fantasticare sui finti reportage da Stalingrado di Malaparte. Sull’ironia, poi, la destra nascosta non ha rivali. Giorgio Forattini non vale il compianto Angese, l’unico che voleva eliminare la casta dei notai vestendoli da paggetti del ’400. E prendete il Luciano Bianciardi delle critiche tv: fu lui a inventarsi la mediocrità letteraria di Mike Bongiorno, prima di Eco. E riprendete, dopo Bianciardi, lo humour mitteleuropeo dello stracitato Musil. È una scintilla rispetto all’incendio di battute di Ambrose Bierce, pazzo reazionario desaparecido nel Messico di Zapata. E si spegne del tutto dinnanzi agli Scritti segreti di Mark Twain, nei quali si massacrano i poeti elisabettiani chic, attraverso il trivio del coppiere di Elisabetta I. Della stessa ironia è intriso Frank McCourt, ex insegnante irlandese emigrato a Manhattan, autore delle Ceneri di Angela, premio Pulitzer a 70 anni, e morto senza una lacrima da parte né della destra sociale, né di quella berlusconiana.

Ma il Pantheon attiene pure a quelle che Vittorio Sgarbi chiama le «arti inferiori». Nel cinema occorre sostituire l’esterofilia per Leni Riefensthal col recupero di Pietro Germi, vero narratore della provincia italiana e del ventre molle della borghesia; e rimpiazzare il fascistissimo Gualtiero Jacopetti, autore del orrido ciclo “Mondo cane”, coi poliziotteschi anni ’70 di Nando Di Leo, verso cui professa riconoscenza Quentin Tarantino (altro di destra scippatoci dalla sinistra).

Ed è necesario surrogare i piani americani di Sergio Leone con i set fantasy di Alessandro Blasetti, mai riabilitato a sufficienza. Nel fumetto si cita sempre il “Poema” altoborghese di Dino Buzzati, ma si trascura il “Contratto con Dio” dell’ebreo Will Eisner, l’inventore del graphic novel angloamericano; o il Tex di Gianluigi Bonelli papà del popular novel italiano. Ad ognuno il Pantheon di destra che si merita, dunque. In quello affollato di noi pennaioli, oltre all’irremovibile Montanelli e alla sua genìa, può perfino sfilarsi Giuliano Ferrara ed entrare Alfonso Signorini, vero Mazarino della Real Casa. Vivaddio, non è un intellettuale; e il colpo di pistola non può scappare...


(di Francesco Specchia)

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