Non è facile dirsi cristiani nella Babele «global». La Santa Sede monitora i paesi dove la fede in Gesù è vietata o contrastata da jihadisti asiatici e africani, comunisti atei, fanatici indù o nazionalisti buddisti. Dalla Nigeria al Vietnam, dallo Yemen alla Cina, dall’Algeria all’Indonesia. Il Novecento è stato il secolo con il maggior numero di martiri cristiani e il terzo millennio si è aperto seguendo la stessa striscia di sangue. Ai tempi di Maometto lo Yemen era un regno cristiano che ospitava i musulmani in fuga dalla Mecca prima della conquista islamica. Ora gli yemeniti martirizzano i cristiani. Persecuzioni come in Sudan o divieti come in Afghanistan, una delle nazioni meno raggiunte dal Vangelo, composta da 70 popoli ma quasi nessuno conosce Cristo.
La cristianità assediata spazia dall’Algeria (dove il proselitismo è proibito e le minoranze non musulmane devono tenere un profilo basso), all’Arabia Saudita dove è lecito praticare solo l’Islam e i lavoratori stranieri (filippini e indiani) non possono riunirsi in un luogo pubblico per pregare e per leggere la Bibbia. Nell’Azerbaigian musulmano i cristiani sono addirittura considerati la «quinta colonna dei nemici russi e armeni»: la maggior parte delle città e dei villaggi azeri non sono mai stati evangelizzati. In Bangladesh i 18 tentativi di colpo di stato negli ultimi 25 anni sono sfociati nell’introduzione della Sharia e in discriminazioni tribali verso i cristiani come il divieto di usare l’acqua dei pozzi dei musulmani. In Bielorussia i testi religiosi sono censurati, in Cina tra i 70 milioni di cristiani le bibbie circolano clandestinamente, in Nord Corea è vietata qualunque forma di religione ad eccezione dell’ideologia atea «juche» (l’uomo deve redimere se stesso). Chi viene trovato con un Vangelo finisce in lager dai quali quasi nessuno esce vivo. A scuola i bambini vengono spronati alla delazione, anche dei loro genitori.
A Cuba cattolici e protestanti hanno il marchio governativo di «parassiti sociali». I fedeli sono imprigionati e le chiese distrutte. In Eritrea, ex colonia italiana, i missionari stranieri sono nel mirino dei fondamentalisti islamici, mentre in India gli indù radicali moltiplicano gli episodi di violenza indù contro i cristiani e molti stati hanno varato leggi «anti conversione». In Indonesia gruppi islamici hanno lanciato la «Jihad» distruggendo 700 chiese e uccidendo 9mila fedeli: il governo pianifica la migrazione di musulmani nelle aree tradizionalmente abitate dai cristiani. Ahmadinejad in Iran ha deciso di impedire le conversioni con misure rigide: le chiese non osano più accogliere gli (ex) musulmani per paura di spie e ritorsioni. In Iraq gli islamici che si ribellano all’occupazione anglo-americana prendono di mira i luoghi sacri dei cristiani. Risultato: un esodo di massa. Nelle Isole Comore esistono 780 moschee, ma nessuna chiesa, in Kuwait l’Islam è la religione di stato, solo i musulmani possono diventare cittadini, l’evangelizzazione è proibita. Il governo scoraggia il cristianesimo dando incentivi economici ai musulmani e acquista grandi quantità di Bibbie per poi bruciarle. In Libia la letteratura cristiana può entrare nel Paese solo segretamente, gli incontri religiosi sono monitorati dai servizi di sicurezza.
Alle Maldive i cristiani praticano i loro culti solo in privato, in Malesia il permesso di costruire nuove chiese non viene quasi mai accordato e in Marocco le missioni sono proibite, i convertiti subiscono l’allontanamento forzato dalle loro famiglie, la perdita del lavoro, la prigione. In Mauritania la liberta religiosa non esiste e la legge coranica impedisce ai cittadini di entrare nelle case dei non musulmani. Chi segue Gesù rischia la pena di morte. In Nigeria la maggioranza musulmana del nord nega i diritti civili ai cristiani, spesso picchiati e uccisi. La Siria, invece, non consente l’evangelizzazione aperta e per i missionari stranieri la residenza è impossibile. In Somalia la «Sharia» viene applicata da giudici auto costituiti: i non musulmani subiscono fustigazioni, lapidazioni e sono costretti a emigrare. Non va meglio con il nazionalismo buddista. Nello stato himalayano del Bhutan il cristianesimo è ufficialmente vietato dal 1969 e perseguitato dal ‘96: i cristiani non possono mandare i figli a scuola, ottenere un impiego governativo, creare un’azienda, tenere riunioni in casa. Vengono incarcerati, torturati e, se non rinnegano la fede, espulsi. Le autorità dello Sri Lanka associano il cristianesimo al colonialismo, agli stranieri. Chiese e credenti sono assediati dall’intolleranza buddista.
(fonte: http://www.lastampa.it/)
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