Un passo importante, sulla linea del suo predecessore Giovanni Paolo II. E tanto più significativo visto che alcuni, nella comunità ebraica, chiedevano di rimandare la visita di Benedetto XVI. «E invece cancellarla sarebbe stato un vulnus al dialogo» dice Franco Cardini, storico e saggista.
La visita di Ratzinger in sinagoga è considerata da molti un momento storico. È così?
«Bisogna premettere che l’atmosfera è un po’ freddina. Ci sono opinioni diverse all’interno della comunità ebraica, lo stesso rabbino Di Segni, che è una persona squisita, non è sempre per il dialogo. E pure il rabbino Laras, che è molto più incline al dialogo, ha deciso di non essere presente».
È una scelta che pesa?
«Credo che il gesto gli sia costato, ma abbia voluto dare voce a chi, nella comunità ebraica, avrebbe preferito rimandare e vedere come si svilupperà la causa di beatificazione di Pio XII. Lo stesso Di Segni ha dovuto superare molti ostacoli, ci sono posizioni molto dure».
Questo influisce sul significato della visita?
«Non mi farei molte illusioni: il Papa ha fatto molto bene a fare la visita, la comunità ebraica pure a non annullarla, ma in mezzo resta il convitato di pietra della beatificazione di Pio XII».
Ma si può parlare di momento storico?
«Assolutamente sì. È il segno di una linea di continuità con Giovanni Paolo II, di una larga apertura reciproca e di una forte simpatia. Anzi, nel pontificato di Benedetto XVI il rapporto è ancora più cordiale che con il suo predecessore, anche se lui era molto amato».
Dopo Colonia e New York, la sinagoga di Roma. Che significato ha?
«Il Papa è vescovo di Roma, anche se qualcuno a volte se ne dimentica... Il significato è molto profondo, da sempre il rapporto del pontefice coi concittadini ebrei è di amicizia e affetto. Il vecchio Toaff diceva: noi siamo i cittadini romani più antichi. Colonia è la città del suo Paese ed è tedesca, importante in relazione alla Shoah; New York ha un alto valore simbolico e politico perché è la sede della comunità ebraica più forte e influente del mondo. Ma Roma resta Roma».
Insomma è un segnale positivo?
«Il passo fatto è comunque di grande importanza. I problemi restano, non c’è accordo su tutto, ma non bisogna sottovalutare i segni positivi. Ed è una fortuna che la visita ci sia stata. Se fosse saltata sarebbe stato piuttosto grave, un vulnus al dialogo».
È ancora più importante, visto il momento?
«È un segnale di normalità, di prosecuzione del dialogo. E ha evitato strumentalizzazioni da parte dei provocatori. I problemi ci sono sempre, l’importante è non permettere agli elementi negativi di erigere ostacoli insormontabili».
(fonte: http://www.ilgiornale.it/)
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