martedì 26 gennaio 2010

Il Pd perde anche contro se stesso


La gioiosa macchina da guerra del Partito democratico riesce a perdere anche quando gioca in casa con se stessa. Colleziona fallimenti e quando mancano le occasioni politiche ed elettorali, si costruisce le sconfitte con le sue stesse mani.

Tappezza le strade di manifesti, organizza macchine elettorali, enfatizza l’evento e si fa clamorosamente battere. Dice, ad esempio, che la Puglia è un laboratorio nazionale, esagera la portata delle primarie per rendere vistosa la sua disfatta, così quando il suo candidato viene così duramente sconfitto dal suo stesso elettorato, fa capire che la Puglia diventa il laboratorio della sconfitta nazionale. Ma, diamine, non riescono non dico a mobilitare i loro militanti ma nemmeno a prevedere quel che sarebbe successo? Ma dove vivono, in quale trullo della Puglia si erano rintanati? Pensavano che sarebbe bastato un bell’avviso giudiziario a Vendola a cinque giorni dalle primarie per farlo saltare? Lo sconforto diventa poi assoluto se si pensa che il regista di quest’operazione era il più intelligente di loro, il Cavour della sinistra in versione sadomaso: Massimo D’Alema.

Il terzo millennio è per lui una collezione di gloriose sconfitte: dalle regionali del Duemila, quando perse il posto a Palazzo Chigi, alle sconfitte interne al partito, dalle candidature bruciate dal Quirinale all’Unione europea, alla disfatta di Bari. Napoleone Malaparte. Una sconfitta dopo l’altra con una commovente abnegazione. Prendete pure il caso del povero Boccia, l’antagonista di Vendola, segnato nel cognome dal destino di perdente; lo conosco da ragazzo, è mio compaesano, è sveglio, giovane e presentabile, ma per due volte lo hanno fatto umiliare alle primarie, sconfitto sempre dallo stesso Nichi. Il Pd si fa sconfiggere perfino dai suoi morti, Rifondazione comunista in differita dal camposanto, batte il Partito democratico per tre a zero. Bandiera rossa trionferà. (Per la verità anche l’errore del centrodestra di non candidare la Poli Bortone e di lasciarla a Casini è un segno di masochismo fesso).

Vi invito a fare un piccolo consuntivo della situazione in cui si è cacciato il Partito della sinistra. Dunque il Pd è costretto a inseguire Di Pietro nella lotta a Berlusconi, a mendicare alleanze a Casini nella lotta alle regionali, a chiedere protezioni a Fini alla Camera; a incoronare la Bonino nel Lazio che di sua iniziativa ha deciso di candidarsi, a farsi incornare da Vendola in Puglia dopo averlo sfidato sul suo terreno preferito, il populismo delle primarie. E i nomi che vi ho fatto mostrano l’assenza di una linea di coerenza: non si possono inseguire il diavolo e l’acquasanta, diventando una versione passiva di Zelig il mutante, e farsi cattolici in Puglia, ammazzapreti nel Lazio, fingersi moderati per compiacere Casini e dirsi forcaioli per non farsi scavalcare da Di Pietro, farsi scappare i moderati Rutelli e Tabacci e poi farsi sconfiggere perfino dai comunisti con Vendola. È un partito trisessuale, travolto dalle amanti a Bologna, dai trans a Roma e dal gay a Bari. Non si può essere così psicolabili e mutanti.

So che la sconfitta di Bari produrrà conati di nostalgia per Prodi e Veltroni, e magari la convinzione che con Franceschini il Partito non aveva raggiunto il punto più basso. Come avrete notato, finora non ho nemmeno citato il suo leader, Bersani, di cui non ricordo nulla di significativo da quando guida il suo partito. L’unica cosa che mi ha colpito è di natura personale: mi ha fregato qualche sera fa la busta della spesa in un piccolo supermercato vicino a largo Argentina, a Roma, perché era impegnato al telefono a organizzare la sconfitta del partito e non badava a ciò che stava facendo. Perfino il cassiere quando ha visto la scena mi ha guardato e ha alzato le spalle; come a dire, che vuol farci, non ci sta con la testa. Mi è parsa la metafora del suo partito di oggi che finge di stare in mezzo alla gente, ma poi perde il senso della realtà che ha davanti per restare attaccata, via telefono, al Palazzo e alle sue diramazioni. Ecco, oltre questa trascurabile inezia non so dire nulla di Bersani, non mi pare che sia lui il colpevole della situazioni ma mi pare che non sia lui a guidare il partito; piuttosto si fa guidare telefonicamente nel supermercatino della politica dai disastrosi tom tom del suo partito, più alleati veri o potenziali.

Mi pare infine curioso e meritevole di riflessione, lo strano trionfo di Nichi Vendola. Era agonizzante sul piano politico, la sua giunta era stata travolta da una serie di scandali ed errori sulla sanità e non solo. Ma la lotta che gli ha fatto il suo partito, prima scagliandogli il sindaco di Bari Emiliano, poi il giovane Boccia, infine organizzandogli il suo trionfo con le primarie, lo hanno ringalluzzito. E la cosa divertente è che lui, comunista, ha fatto una campagna da solista, in pieno stile americano: «Solo contro tutti», che poi diventava «Solo con tutti», era il suo doppio slogan. Una campagna populista e solitaria, da leader carismatico e individualista che sfida le organizzazioni collettive, a cominciare dal Partito. Comunista single, una nuova specie con l’orecchino.

(di Marcello Veneziani)

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