Roma-Bruxelles, giovedì pomeriggio. Ugo Cappellacci incassa la riconferma nell’ufficio di presidenza del Comitato delle Regioni europee. Saluta e ringrazia Antonio Tajani, con cui discute di una possibile delega all’Energia da portare a casa, poi si dirige verso l’aeroporto. A poca distanza, Silvio Berlusconi difende a spada tratta Guido Bertolaso, con i cronisti che lo accerchiano all’uscita del solito negozio d’antiquariato. Poi anche lui si muove. Si ritrovano insieme in aereo, diretti a Roma. Parlano a lungo del caso Alcoa, finché il governatore sbotta: «Presidente, devo aggiornarti su cosa sta succedendo in Sardegna». Il briefing è dettagliato, mette a fuoco la «fronda» ostile e il Cavaliere si fa scuro in volto. «Va bene, ho capito. Fatemi sapere se c’è necessità che intervenga io di persona...».
È passato soltanto un anno dalla batosta rifilata a Renato Soru, ma ormai sembra un secolo. E a rischiare l’implosione, a sorpresa, è il Pdl, vittima di uno dei tanti colpi di coda di quel progetto centrista che ha tenuto banco tutta l’estate, arenatosi il giorno dell’aggressione a Berlusconi in piazza Duomo. Da mesi, infatti, l’equilibrio nel partito è saltato, tanto che un terzo dei 31 consiglieri regionali pidiellini, il 13 gennaio, mette a punto un documento ad hoc. Per contestare innanzitutto la gestione romanocentrica di Cappellacci, a scapito della «peculiarità della Questione sarda» e di un’iniziativa all’altezza della gravissima crisi economica che si vive nell’isola. Nel mirino finisce pure la conduzione del gruppo consiliare (affidata a Mario Diana) e la gestione del coordinamento regionale: ovvero, Mariano Delogu - ex An e vicino a Gianfranco Fini, che non nasconde però le sue perplessità nei confronti dei dissidenti - e Claudia Lombardo, vicecoordinatrice vicaria e presidente del Consiglio regionale. Un doppio incarico contestato da Nanni Campus, pronto a porre l’undicesima firma al manifesto frondista, in ritardo però di quasi due settimane. Una scelta che i maligni associano alla mancata nomina ad assessore alla Sanità e al commissariamento dell’Azienda universitaria di Sassari.
Ma chi sono gli altri dieci «ribelli»? E chi c’è dietro la loro alzata di testa, che si traduce pure in un attacco al Cavaliere? I nomi pesanti sono due: Mauro Pili e Beppe Pisanu. Già, l’ex ministro dell’Interno berlusconiano che da mesi suona la «sveglia» e che in più occasioni è stato associato dai rumors al progetto centrista di Casini-Fini-Montezemolo. E che ieri mattina ha riunito i frondisti, portandoli poi a pranzo al ristorante «Da Renzo», nei pressi di Oristano. A tavola pure il sindaco di Cagliari, Emilio Floris, quello di Alghero, Marco Tedde, e alcuni parlamentari.
Fallito il grande sogno del governissimo, che per mesi ha scosso il Palazzo, facendo immaginare un progetto trasversale per disarcionare il premier - vuoi perché Luca Cordero di Montezemolo nega di continuo un suo interessamento alla politica, vuoi perché Fini vive una fase di piena sintonia con il Cavaliere, vuoi perché Pier Ferdinando Casini ha le sue gatte da pelare con la politica dei due forni - a Pisanu non resta dunque che giocare da solo, recuperando quanto più potere possibile in Sardegna. Un tentativo di rivalsa, spiegano diverse fonti isolane, neppure tanto nascosto. Lo testimonia il testo del documento firmato dai contestatori, dove non si cita mai Berlusconi, nonostante sia stato proprio lui il fautore della vittoria di Cappellacci. Con un’aggravante. Quando si prende in esame «la questione meridionale», gli undici consiglieri Pdl sottoscrivono che «sta finalmente tornando all’attenzione del Paese, come attestano le recenti autorevoli dichiarazioni del presidente della Reppubblica e del governatore della Banca d’Italia». Cioè, Giorgio Napolitano e Mario Draghi.
Bene, anzi male. Non stupisca quindi il malumore del Cavaliere - nel weekend forse solo casualmente in Costa Smeralda - cosciente che a maggio in Sardegna si voterà nelle otto Province (una sola è in mano al centrodestra). Ma non finisce qui, è ovvio. Se ne vedranno delle belle già domani, alla riunione del coordinamento Pdl. Convocati anche Cappellacci, Delogu e Lombardo, insieme ai vicecoordinatori (tra cui i deputati Salvatore Cicu e Piero Testoni). E i frondisti? Forse siederanno al tavolo. Ma a quel punto, è difficile che il Mirto faccia la sua comparsa.
(di Adalberto Signore)
È passato soltanto un anno dalla batosta rifilata a Renato Soru, ma ormai sembra un secolo. E a rischiare l’implosione, a sorpresa, è il Pdl, vittima di uno dei tanti colpi di coda di quel progetto centrista che ha tenuto banco tutta l’estate, arenatosi il giorno dell’aggressione a Berlusconi in piazza Duomo. Da mesi, infatti, l’equilibrio nel partito è saltato, tanto che un terzo dei 31 consiglieri regionali pidiellini, il 13 gennaio, mette a punto un documento ad hoc. Per contestare innanzitutto la gestione romanocentrica di Cappellacci, a scapito della «peculiarità della Questione sarda» e di un’iniziativa all’altezza della gravissima crisi economica che si vive nell’isola. Nel mirino finisce pure la conduzione del gruppo consiliare (affidata a Mario Diana) e la gestione del coordinamento regionale: ovvero, Mariano Delogu - ex An e vicino a Gianfranco Fini, che non nasconde però le sue perplessità nei confronti dei dissidenti - e Claudia Lombardo, vicecoordinatrice vicaria e presidente del Consiglio regionale. Un doppio incarico contestato da Nanni Campus, pronto a porre l’undicesima firma al manifesto frondista, in ritardo però di quasi due settimane. Una scelta che i maligni associano alla mancata nomina ad assessore alla Sanità e al commissariamento dell’Azienda universitaria di Sassari.
Ma chi sono gli altri dieci «ribelli»? E chi c’è dietro la loro alzata di testa, che si traduce pure in un attacco al Cavaliere? I nomi pesanti sono due: Mauro Pili e Beppe Pisanu. Già, l’ex ministro dell’Interno berlusconiano che da mesi suona la «sveglia» e che in più occasioni è stato associato dai rumors al progetto centrista di Casini-Fini-Montezemolo. E che ieri mattina ha riunito i frondisti, portandoli poi a pranzo al ristorante «Da Renzo», nei pressi di Oristano. A tavola pure il sindaco di Cagliari, Emilio Floris, quello di Alghero, Marco Tedde, e alcuni parlamentari.
Fallito il grande sogno del governissimo, che per mesi ha scosso il Palazzo, facendo immaginare un progetto trasversale per disarcionare il premier - vuoi perché Luca Cordero di Montezemolo nega di continuo un suo interessamento alla politica, vuoi perché Fini vive una fase di piena sintonia con il Cavaliere, vuoi perché Pier Ferdinando Casini ha le sue gatte da pelare con la politica dei due forni - a Pisanu non resta dunque che giocare da solo, recuperando quanto più potere possibile in Sardegna. Un tentativo di rivalsa, spiegano diverse fonti isolane, neppure tanto nascosto. Lo testimonia il testo del documento firmato dai contestatori, dove non si cita mai Berlusconi, nonostante sia stato proprio lui il fautore della vittoria di Cappellacci. Con un’aggravante. Quando si prende in esame «la questione meridionale», gli undici consiglieri Pdl sottoscrivono che «sta finalmente tornando all’attenzione del Paese, come attestano le recenti autorevoli dichiarazioni del presidente della Reppubblica e del governatore della Banca d’Italia». Cioè, Giorgio Napolitano e Mario Draghi.
Bene, anzi male. Non stupisca quindi il malumore del Cavaliere - nel weekend forse solo casualmente in Costa Smeralda - cosciente che a maggio in Sardegna si voterà nelle otto Province (una sola è in mano al centrodestra). Ma non finisce qui, è ovvio. Se ne vedranno delle belle già domani, alla riunione del coordinamento Pdl. Convocati anche Cappellacci, Delogu e Lombardo, insieme ai vicecoordinatori (tra cui i deputati Salvatore Cicu e Piero Testoni). E i frondisti? Forse siederanno al tavolo. Ma a quel punto, è difficile che il Mirto faccia la sua comparsa.
(di Adalberto Signore)
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