Come è successo al festival di Sanremo e agli emanueli filiberti, anche il livello di attenzione alla politica è alto, ma il livello di consenso alla politica è ai minimi storici. Nella migliore delle ipotesi, che coincide poi con la peggiore, i grandi ascolti vogliono dire che questo Paese si rispecchia e si ]riconosce perfettamente nel degrado dei partiti e dei poteri. Ma questo non consola, semmai aggrava la situazione; e impone a chi ha qualche possibilità di incidere sulla realtà una responsabilità in più. Se il Paese degrada come la sua classe dirigente, è dalla classe dirigente che si deve ricominciare per reagire e rimediare. Perché una classe dirigente non deve solo rispecchiare il Paese ma deve anche guidarlo.
Altrimenti non dirige ma domina, esercita un potere ma si sottrae alle sue responsabilità. Le elezioni regionali stanno aggravando la situazione, offrendo uno spettacolo avvilente: si narra di candidature comprate e pagate il doppio, il triplo dell’indennità che gli eletti riscuoteranno lungo tutto il mandato; giri di affari e malaffari paurosi all’ombra dei cartelli elettorali, conflitti interni feroci, guerre tra bande, conditi di boicottaggi e colpi bassi. Dei partiti resta solo un residuo associativo di stampo mafioso.
È stato facile in questi anni esaurire la questione politica al caso Berlusconi, scaricarsi delle responsabilità di un’intera classe dirigente adducendo l’alibi che c’è lui, la sua personalità forte e pervasiva, l’impronta monarchica del suo comando. In realtà appena lo sguardo si sposta da lui al resto, o meglio ai poco amabili resti della politica e dei poteri, ti accorgi che la china è tremenda. Degrada la qualità della classe dirigente, il ricambio è prevalentemente in basso, una selezione a rovescio premia sempre il peggio e un darwinismo perverso promuove la sopravvivenza del più losco o del più inetto. Berlusconi è stato il generoso ombrello, l’alibi comodo dietro cui rifugiarsi per osannarlo o attribuirgli tutti i mali del Paese. Ma un Paese non si può ridurre a una persona, un complesso intreccio di poteri politici e giudiziari, locali e culturali, civili e amministrativi, non può essere nascosto all’ombra di Re Silvio, dei suoi processi e del gossip su di lui.
Questa è una chiamata alle armi e per la prima volta dopo tanto tempo non è rivolta a uno schieramento contro un altro, e nemmeno moralisticamente agli onesti contro i disonesti perché ci sono troppe zone grigie: ma più realisticamente a chi si accorge che di questo passo il Paese si sfascia e chi invece nello sfascio ci guazza e pensa di trarre ancora giovamento.
Non si tratta nemmeno, come avrete capito, di ingaggiare una guerra pro o contro i magistrati, perché il conflitto attraversa pure i tribunali e divide i magistrati non in rossi o bianchi, non in corrotti e integerrimi, ma tra chi si accorge che questo ciclone spazzerà via anche la loro credibilità e chi invece vive nell’occhio del ciclone e gode dei suoi immediati benefici. Ma la visibilità e il potere di oggi rischiano di ribaltarsi in condanna e vituperio domani.
Pensateci voi che avete qualche possibilità di reagire al degrado. Reagite in tempo. Ognuno faccia la sua parte secondo le sue possibilità e il suo ruolo. Noi che scriviamo abbiamo il dovere di denunciarlo a chiare lettere, di sospendere per un momento conflitti e schieramenti per concentrare l’attenzione pubblica e di ciascuno sulla Priorità Assoluta, la Svolta.
Fermate la discesa verso il collasso, selezionate contenuti, persone e programmi sulla base della qualità, del merito e dell’efficacia, invertite la tendenza all’imbarbarimento e all’involgarimento, non barricatevi nei vostri clan e nelle rendite di posizione, assumetevi le vostre responsabilità rispetto al domani. Questo è un Paese già povero di futuro, senza figli, pieno di vecchi e gonfio d’immigrati; date una scossa, non aspettate la mazzata finale.
(di Marcello Veneziani)
Nessun commento:
Posta un commento