sabato 13 marzo 2010

Il Cav. scende in piazza anche per ricordare ai laziali che la Polverini c’è


Che altro se non la piazza romana? Quali altre risorse avrebbe a disposizione, Silvio Berlusconi, per trasformare il veleno dello scontro politico generalizzato nel balsamo di un consenso accettabile dentro le urne regionali? Un “agitatore politico” com’è il Cav. – così lo ha definito Pier Luigi Bersani, segretario di un partito senza più bollicine politiche – ha poco da almanaccare. La televisione è fuori uso, vittima di un malinteso senso delle pari opportunità che avrebbe livellato tutto verso il basso: allora meglio l’afasia per decreto. I comizi, forse. Ma la memoria biologica del duomo in faccia rimediato a Milano sconsiglia di azzardare troppo nelle città turistiche. Il Parlamento è infestato da bivacchi di manipoli in viola, e oltretutto non è certo lì che gira la roulette del consenso.

Resta la piazza, dunque, origine e compimento di una prassi democratica cui anche il modernissimo Cav. deve ricorrere tralasciando ogni dispositivo tecnologico. Sceso in politica dietro una telecamera con calza a rete, cioè il massimo della distanza possibile dalla bolgia popolare, Berlusconi ha imparato negli anni a praticare la cosmesi rigenerante della folla. Dopo le sfortunate elezioni del 2006 è stato appunto un bagno di moltitudine a fare da ricostituente politico per un centrodestra che, di lì a pochi mesi, avrebbe rivinto senza più il centro mobile di Pier Ferdinando Casini.

Oggi il Cav. di piazza ritenta il colpo di teatro elettorale, ma lo fa calamitato da un’emergenza che non ha provocato né previsto. E’ il frutto amaro di un pasticcio scoppiato in mano a pescatori di voti e pallidi sibariti impigriti dal micropotere romano. Gente che lui ora deve difendere, proteggere (anche da se stessa), rinfrancare, ordinare e rilanciare alla carica per non vedersi sfuggire la possibile vittoria nel Lazio contro Emma Bonino. Perché nell’essenza è questo il problema: dacché i togati hanno respinto con perdite la lista romana del Pdl, quella composta per lo più dai mandarini locali detentori di clientele grasse come la pioggia che cade a Roma in queste ore, Berlusconi si trova costretto a esibire se stesso per mostrare al pubblico votante che Renata Polverini esiste ancora, e ancora è candidata al governo della regione.

Ecco la fonda ragione dell’appuntamento convocato il 20 marzo nella Capitale. Ecco la doppia fatica di Berlusconi: deve dimenticarsi d’essere più simile alla Bonino – almeno quanto a libertarismo e anarchia etica – e infinitamente lontano dal generone polverinesco (mens salottiera in corpore sindacalizzato); e deve trasformare una manifestazione di rabbia stracittadina nella passerella comunicativa di una battaglia nazionale.
Il Lazio mutilato sarà perciò, agli occhi infuocati del premier, un forzoso pretesto per la mobilitazione generale del berlusconismo, da Ventimiglia a Leuca, in nome della libertà da tutti i condizionamenti giudiziari, dal sussiego imbelle del Partito democratico, e perfino dalla deriva verso il grottesco che ha investito gli statisti in miniatura di cui è rigonfio il sistema circolatorio periferico del Pdl.

Il resto – le liste, le regole, i timbri, gli scatoloni, i Radicali ostruzionisti che i post fascisti avrebbero voluto pestare a sangue, i disturbatori di conferenze stampa che il non-poi-così-postfascista La Russa ha magnificamente neutralizzato, i giudici e i disfattisti di ogni ordine e grado – svapora di fronte alla sola costituzione cui il Cav. è davvero affezionato: la propria sana e robusta costituzione di agitatore politico, fraintesa e censurata soltanto da chi nelle vene ha la polvere al posto del sangue.

(di Alessandro Giuli)

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