Scriverò anch’io con la fascia del lutto sul braccio sinistro quando sarà varata la brutta legge sulle intercettazioni che colpisce la libertà d’informazione e d’indagine in Italia. Porterò il lutto al braccio sinistro non solo perché sono mancino, ma anche per distinguermi dagli scioperanti, perché ritengo che i responsabili di questa brutta legge siano due: la maggioranza del Parlamento che la voterà e la maggioranza della stampa italiana che ha fatto carne da porco della libertà di stampa, usando le intercettazioni in modo indecente, sputtanando spesso innocenti ed estranei alle vicende processuali, condannando alla gogna tanti che sono poi risultati penalmente non colpevoli, e usandola come un veleno per campagne politiche diffamatorie. E alle loro spalle, naturalmente, vedo i rispettivi ispiratori: da una parte il governo in carica e dall’altra la magistratura avvelenata. Stampa e magistratura d’assalto con il loro moralismo vagamente terroristico e la loro indignazione intermittente, hanno offerto l’alibi per questa legge che ferisce la libertà di stampa, indebolisce le indagini e sminuisce la conoscenza della verità. Mi sarebbe piaciuto che la Federazione della stampa, che ora proclama scioperi, lutti, fuoco e fiamme, avesse prima duramente condannato l’abuso giornalistico che si è fatto nelle intercettazioni, riducendo la stampa italiana e poi l’Italia stessa a quel porcaio doppio in cui navighiamo. Doppio perché al malcostume che emergeva da quelle intercettazioni si aggiungeva la barbarie di una stampa guardona, di una magistratura livorosa e di un Paese morboso, che moltiplicava così l’effetto Sodoma & Camorra già attivo nella vita reale. E la stessa reazione autocritica avrei voluto che fosse venuta dall’organo di autocontrollo della magistratura e dalle associazioni di magistrati.
È difficile, mi rendo conto, nell’epoca delle contrapposizioni tagliate con l’accetta, dire che la legge è brutta ma i masnadieri che hanno abusato della libertà se la sono meritata. Mi dispiace che a rimetterci siamo noi, cittadini e italiani, che non siamo né tra gli intercettati colpevoli né tra gli intercettatori barbarici. Entrambi, legislatori e intercettatori, hanno concorso a far scendere il nostro Paese di un altro gradino nell’immagine e nella sostanza della sua libertà e dignità. Capisco tutte le ragioni sacrosante che hanno spinto il governo a proporre questa legge, inclusa l’autodifesa davanti a un attacco feroce di colpi bassi, senza precedenti. E non credo nemmeno che tutti i processi, le condanne, perfino i libri che sono stati pubblicati in questi anni sarebbero stati impossibili se ci fosse stata quella legge. Noto anzi che mentre il Parlamento si accinge a varare una legge infame, molti giornali anziché informare, continuano a fare disinformazione, terrorismo puro, e mescolano la verità con la menzogna, la realtà con l’esagerazione.
I tre quarti degli esempi indicati dalla stampa di reati che non sarebbero stati perseguiti e conosciuti se la legge sulle intercettazioni fosse già stata in vigore, sono infondati. Le indagini e i processi non sarebbero stati scalfiti. Vedo però restringersi gli spazi di libera informazione, vedo diminuire gli spazi di verità portata alla luce, seppur insieme a tanto ciarpame. Non posso tacere il mio dissenso bilaterale. Mi sento come giornalista, cittadino e uomo libero ferito da questa norma e da chi l’ha propiziata. E mi auguro ancora che verrà resa ragionevole, utile allo scopo legittimo ma non a spuntare le armi alla lotta contro il reato e alla relativa informazione.
In un Paese normale non ci sarebbe bisogno di norme restrittive sull’uso delle intercettazioni. Basterebbe la responsabilità dei giudici e della stampa, il loro codice deontologico, i loro stessi organi di autocontrollo. Ma questo è un Paese malato, organizzato in clan, cricche e caste, e perciò sorgono norme ad hoc, altrimenti inconcepibili. La patologia italiana riguarda in primis le classi dirigenti, come denunciano perfino gli attori ai festival di Cannes; a patto di aggiungere che nelle classi dirigenti ci sono i detentori di tutti i poteri, non solo esecutivo ma anche legislativo e giudiziario, più la stampa e i poteri economici. Le brutte leggi sono lo specchio di brutte classi dirigenti, e il riflesso di conflitti di stampo mafioso, regolamenti di conti, che le dilaniano al loro interno e tra poteri. Aggiungo il disagio di vivere dentro una guerra e di non sentirmi rappresentato in questo caso da nessuno dei due confliggenti.
Non penso, intendiamoci, che la libertà in Italia sia stata compromessa dalla legge per le intercettazioni, non credo al potere terribile delle leggi, temo più l’uso degli uomini. E non mi pare che questa legge riesca a colpire l’essenza della libertà; semmai colpisce una sua diramazione periferica. Ma credo che scenda di un gradino il livello di libertà nel nostro Paese, pur nel nome rispettabile delle garanzie agli imputati. L’esperienza insegna che si è disposti a volte a rinunciare a un po’ di libertà pur di avere un po’ di sicurezza in più; questa legge mi pare che ci faccia rinunciare ad ambedue le porzioni, anche se offre una garanzia in più per gli inquisiti, colpevoli e innocenti. Sono contento per loro, un po’ meno per l’Italia.
È difficile, mi rendo conto, nell’epoca delle contrapposizioni tagliate con l’accetta, dire che la legge è brutta ma i masnadieri che hanno abusato della libertà se la sono meritata. Mi dispiace che a rimetterci siamo noi, cittadini e italiani, che non siamo né tra gli intercettati colpevoli né tra gli intercettatori barbarici. Entrambi, legislatori e intercettatori, hanno concorso a far scendere il nostro Paese di un altro gradino nell’immagine e nella sostanza della sua libertà e dignità. Capisco tutte le ragioni sacrosante che hanno spinto il governo a proporre questa legge, inclusa l’autodifesa davanti a un attacco feroce di colpi bassi, senza precedenti. E non credo nemmeno che tutti i processi, le condanne, perfino i libri che sono stati pubblicati in questi anni sarebbero stati impossibili se ci fosse stata quella legge. Noto anzi che mentre il Parlamento si accinge a varare una legge infame, molti giornali anziché informare, continuano a fare disinformazione, terrorismo puro, e mescolano la verità con la menzogna, la realtà con l’esagerazione.
I tre quarti degli esempi indicati dalla stampa di reati che non sarebbero stati perseguiti e conosciuti se la legge sulle intercettazioni fosse già stata in vigore, sono infondati. Le indagini e i processi non sarebbero stati scalfiti. Vedo però restringersi gli spazi di libera informazione, vedo diminuire gli spazi di verità portata alla luce, seppur insieme a tanto ciarpame. Non posso tacere il mio dissenso bilaterale. Mi sento come giornalista, cittadino e uomo libero ferito da questa norma e da chi l’ha propiziata. E mi auguro ancora che verrà resa ragionevole, utile allo scopo legittimo ma non a spuntare le armi alla lotta contro il reato e alla relativa informazione.
In un Paese normale non ci sarebbe bisogno di norme restrittive sull’uso delle intercettazioni. Basterebbe la responsabilità dei giudici e della stampa, il loro codice deontologico, i loro stessi organi di autocontrollo. Ma questo è un Paese malato, organizzato in clan, cricche e caste, e perciò sorgono norme ad hoc, altrimenti inconcepibili. La patologia italiana riguarda in primis le classi dirigenti, come denunciano perfino gli attori ai festival di Cannes; a patto di aggiungere che nelle classi dirigenti ci sono i detentori di tutti i poteri, non solo esecutivo ma anche legislativo e giudiziario, più la stampa e i poteri economici. Le brutte leggi sono lo specchio di brutte classi dirigenti, e il riflesso di conflitti di stampo mafioso, regolamenti di conti, che le dilaniano al loro interno e tra poteri. Aggiungo il disagio di vivere dentro una guerra e di non sentirmi rappresentato in questo caso da nessuno dei due confliggenti.
Non penso, intendiamoci, che la libertà in Italia sia stata compromessa dalla legge per le intercettazioni, non credo al potere terribile delle leggi, temo più l’uso degli uomini. E non mi pare che questa legge riesca a colpire l’essenza della libertà; semmai colpisce una sua diramazione periferica. Ma credo che scenda di un gradino il livello di libertà nel nostro Paese, pur nel nome rispettabile delle garanzie agli imputati. L’esperienza insegna che si è disposti a volte a rinunciare a un po’ di libertà pur di avere un po’ di sicurezza in più; questa legge mi pare che ci faccia rinunciare ad ambedue le porzioni, anche se offre una garanzia in più per gli inquisiti, colpevoli e innocenti. Sono contento per loro, un po’ meno per l’Italia.
(di Marcello Veneziani)
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