"Tutto diviene: ma non bisogna aspettare, urge far divenire."
Ottavio Dinale, 1904
"Come è vero ed assurdo che una guerra rivoluzionaria abbia finito per portare l’Italia a destra invece che a sinistra, così è altrettanto vero e non assurdo che avrebbe dovuto e potuto spingerla a sinistra."
Ottavio Dinale, 1953
Ottavio Dinale , figura chiave del sindacalismo rivoluzionario,nasce a Marostica il 20 maggio del 1871. Laureatosi in Lettere a Padova intraprende l’attività d’insegnante presso un ginnasio di Mirandola in provincia di Modena, salvo essere estromesso dall’insegnamento nel 1898 a causa della sua accesa attività politica fra le masse bracciantili. Riottene il posto, l’anno successivo, sotto stretta sorveglianza delle autorità locali. Nel 1898 è autore di un opuscolo diretto ad avvicinare i giovani al socialismo, una sorta di manuale di dottrina, semplificato, corredato di massime e definizioni che possa “inoculare l’idea nei cuori giovanili, infiammare le giovani menti, prepararle per la conquista dell’avvenire”. Nelle campagne modenesi ha l’opportunità di vivere a contatto con i contadini e trarre le debite conclusioni rispetto alla loro condizione.
L’analisi di Dinali riguardante il divario fra proletariato agrario e quello urbano è sferzante: «Mentre l’industria fece in tutto il mondo progressi meravigliosi, dal telaio a mano sino alle macchine più complicate, l’agricoltura, a non tener conto degli ultimi timidi tentativi e di poche eccezioni che non hanno valore in considerazioni generali, non si mosse e così, mentre l’artigiano ignorante e incosciente della corporazione diventò il proletario istruito e cosciente dello stabilimento, il contadino rimase il contadino. Il quale oltre ad essere vittima della stazionarietà del suo mestiere, per ragion d’ambiente, ebbe anche la sventura di vivere lontano dal telegrafo, dal vapore, dalla stampa, dal soffio potente della civiltà, col corpo al padrone e l’anima al prete».
Agli inizi del ‘900 nelle bassa padana vediamo l’affermarsi d’innumerevoli Leghe dei lavoratori, unico mezzo di riscossione sociale e rivendicazione salariale. Durante un congresso svoltosi a Bologna, indetto allo scopo di unire le Leghe in un unico movimento, Dinale afferma: «Ecco i due programmi dell’organizzazione dei lavoratori della terra, il minimo - sciopero generale - il massimo - socializzazione della terra. Attorno a questi due centri deve rivolgersi l’azione direttrice del partito socialista, da questi due fuochi può partire una luce che irraggi e vivifichi le coscienze nuove e vergini dei nostri contadini». Il padronato è colto di sorpresa, gli scioperi dilagano le leghe cercano di ottenere un riconoscimento giuridico che i proprietari terrieri vogliono negare. La gioia dovuta ai primi successi e agli effettivi miglioramenti delle condizioni di lavoro, viene ridimensionata dalla reazione padronale che riorganizzatasi a sua volta in Leghe di resistenza, risponde agli scioperi, con l’assunzione di contadini non organizzati o vicini all’ala democratico cristiana (con buona pace della solidarietà classista), oppure ricorrendo all’escomio, disdettando le locazioni a mezzadri e coloni.
E’ in questo clima che vengono a crearsi i primi dissensi fra l’ala riformista del partito socialista modenese e Dinale. Mentre il partito, con la costituzione della Camera del Lavoro di Modena cerca di mantenere le posizioni conquistate, intavolando una trattativa con la reazione, Dinale che nel 1903 era stato considerato “indegno di appartenere al Partito Socialista Italiano” cerca invece di canalizzare la forza prorompente delle Leghe in un unico soggetto politico la Federazione Sindacalista d’Italia a cui aderiscono 34 leghe. Il 7 gennaio del 1905 vede la luce Lotta proletaria nuovo organo di stampa da cui Dinale lancia le sue più feroci invettive a partito e padroni. Una volta rotto con il PSI, inizia la sua collaborazione con gli anarchici che considera: «(…)buoni amici, la cui azione si deve incrociare con la nostra per lo scopo comune. Le disquisizioni filosofiche le faremo poi attorno al collettivismo o al comunismo, quando, per l’azione concorde di tutti i sovversivi, non vi sarà più il capitalismo». Più tardi,dal canto loro gli anarchici così descriveranno i sindacalisti: «Noi che partecipavamo al movimento operaio, nell’opporci ai socialisti riformisti e giolittiani, ci trovavamo spesso a camminare a fianco coi cosiddetti sindacalisti [...]Noi partivamo da Bakunin. Essi partivano da Marx, per quanto un Marx riveduto e corretto da G. Sorel» (Filippo Corridoni, combattente indomabile, Sindacato Operaio, 11 giugno 1921)
Nel 1906 per reati a mezzo stampa è costretto a rifugiarsi all’estero dove progetta la fondazione, al quanto utopica, di una colonia comunista del Texas. Tra il 1907 ed il 1911 nasce Demolizione periodico di “propaganda razionalista”, allo scopo di “difendersi contro le menzogne religiose ed autoritarie”, considerate la prima causa dello sfruttamento sociale. Demolizione appunto da attuarsi contro “i degenerati della democrazia, contro i furfanti del politicantismo”. Alla rivista collaborano sindacalisti rivoluzionari, anarchici e futuristi quali Marinetti e Belli. In esilio conosce l’altro futuro esiliato dal “paradiso” del PSI, Benito Mussolini.
Al rientro in Italia è alla redazione del Popolo d’Italia firmandosi con lo pseudonimo “Farinata”. Si allontana dal suo direttore solo quando questi decide di trasformare i fasci di combattimento in partito politico. Essendo un idealista,rimasto bruciato molto spesso sulla via istituzionale, Dinale non accetta che la rivoluzione passi per i meandri sudaticci del parlamentarismo giolittiano. Durante il ventennio ricopre il ruolo di prefetto in vari capoluoghi d’Italia, restando volutamente ai margini e su posizioni molto critiche rispetto alle derive reazionarie del fascismo regime, cosa che comunque non gli impedisce di essere a fianco del vecchio compagno di barricata nel crepuscolo di Salò. Qui, insieme al comunista Nicola Bombacci e al socialista Carlo Silvestri è uno dei maggiori confidenti dell’ultimo Mussolini che Dinale così descrive:
«Non era e non aveva l’aspetto di un vinto, quell’uomo che pareva si sforzasse a nascondere tutto quanto vibrava nel suo cervello e nel suo cuore. Era un forte, piegato da una violenza sovraumana, crudele, maligna, beffarda.(…) Un leone che, anche se avesse avuto tuttora disponibili gli artigli aguzzi, li avrebbe ovattati e non aperti all’offesa, in un segno supremo di amore».
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