Sono i concetti su cui Giulio Tremonti sta insistendo in questi mesi, riferendosi all’Italia ma che valgono per tutto il mondo così detto sviluppato, e che ha ribadito anche martedì a una cerimonia ufficiale: «Non può continuare l’illusione che tanto poi qualcuno pagherà. Stavolta non ci saranno posteri a pagare. A pagare saremo noi». Siamo andati così veloci in questa rapina del futuro, contando che a pagare sarebbero stati i nostri posteri, che siamo diventati posteri di noi stessi. Poi, parlando dei "derivati", che sono un moltiplicatore della scommessa sul futuro, ha aggiunto: «C’è bisogno di una regola che prima impedisca di creare e poi di mettere in circolazione una ricchezza futura che non c’è».
Sarebbe facile obiettare a Tremonti che quello che avevo capito io, che non sono un economista, nel 1998, lui che è ministro delle Finanze o dell’Economia, dal 1994, aveva il dovere di capirlo se non dodici anni fa almeno nel 2007 quando ci fu la crisi dei "subprime" americani e che le sue prediche, oltre che tardive, sono, anche per la prosopopea con cui vengono espresse, irritanti. Ma non ci interessa polemizzare col ministro quanto rilevare che è d’accordo anche sul fatto che la crisi è stata tamponata al solito modo: immettendo nel sistema un’altra enorme quantità di denaro inesistente (i tre trilioni di dollari improvvisamente spuntati in America, per esempio), drogando ulteriormente il cavallo già dopato e sperando che faccia ancora qualche passo.
In un’altra, recente, occasione ha infatti dichiarato: «Nel mondo ogni otto secondi si emette un milione di dollari o di euro di nuovo debito pubblico». Per cui si aspetta, a breve, una nuova crisi («In un mondo dove incombe il rischio di un drammatico, devastante e nuovo crollo delle piramidi di carta...»). A furia di drogare il cavallo arriva fatalmente il momento del collasso definitivo per overdose. Come io avevo previsto nell’ormai lontano 1998.
(di Massimo Fini)
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