Alessandro Manzoni, suo grande amico, l'aveva definito "una delle sei, sette grandi intelligenze dell'umanità": Antonio Rosmini era un sacerdote e un pensatore eclettico, forse un precursore dei tempi. Vivendo nella prima metà dell'Ottocento, Rosmini, respirò l'aria rivoluzionaria e risorgimentale che condusse, a tappe forzate, verso l'unità d'Italia.
Da cattolico convinto qual era non poteva non vedere stagliarsi con nitidezza all'orizzonte il caos che quegli anni, densi di avvenimenti turbolenti, avrebbero procurato all'Italia e all'Europa tutta.
Dopo l'ubriacatura napoleonica e la successiva fase di restaurazione, negli Stati italiani pre-unitari, si incominciava a discutere seriamente di unificazione: non era certo la gente a discettare di tali questioni, bensì le elite dell'intellettualismo illuminista, fortemente imbevute di proclami giacobini e massonici.
Proprio sulla reazione al periodo d'invasione francese e sul tema dell'unità statuale italiana si evidenziava compatto – tra il 1815 e il 1848 – un fronte "neo-guelfo", che faceva riferimento dalla Chiesa cattolica: tale raggruppamento vedeva i cattolici difendere le ragioni dello Stato della Chiesa e la persistenza degli Stati pre-unitari, magari confederati sotto la sapiente guida del Papa.
Con il 1848 tutti i sogni "guelfi" dei cattolici italiani vennero infranti e anche all'interno della Chiesa incominciarono ad evidenziarsi strategie politico-culturali di differente sensibilità in merito al "sentimento risorgimentale". Se da un lato rimaneva salda e inflessibile la posizione anti-risorgimentale dei Papi, che si succedettero sul soglio di Pietro negli anni ruggenti dell'Ottocento, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX, sull'altra sponda vi erano alcuni isolati pensatori cattolico-liberali come Vincenzo Gioberti e Massimo d'Azeglio che propugnavano un compromesso al ribasso tra cattolicesimo e ideali risorgimentali.
Molto lavoro sotterraneo per distrarre i cattolici dal "papismo romano" fu oggetto dell'abile trama massonica sostenuta dagli ambienti più anti-clericali del "risorgimento italiano": l'unità italiana – peraltro invocata da molte delle potenze europee maggiormente anti-cattoliche – fu un pretesto per attaccare il potere temporale della Chiesa cattolica e per invadere lo Stato più antico dell'Occidente, ossia lo Stato della Chiesa.
In questo clima di turbinio politico e sociale l'universo cattolico italiano visse momenti di difficoltà rilevante che culminarono, dopo l'unità d'Italia, ad una vera e propria ondata persecutoria che giunse addirittura alla confisca di innumerevoli beni ecclesiastici e allo scioglimento forzato della Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola nel 1534.
L'articolo 1 dello "Statuto albertino" citava letteralmente: "La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi". Nonostante quest'apertura retorica e pseudo-confessionale, lo Stato italiano voluto dalla massoneria e dai Savoia risultò adottare una malcelata politica laicista e giurisdizionalista.
Fu appena prima del periodo unitario che si evidenziò, tra le fila cattoliche, la lungimiranza e la serietà del pensiero federalista di Antonio Rosmini che propose un tipo di federalismo funzionale al mantenimento dell'indipendenza della Chiesa cattolica.
Per Rosmini era proprio imboccando la via federalista che l'Italia avrebbe potuto trovare la sua vera unità: proprio il Federalismo, infatti, nell'ottica rosminiana, rappresenta la soluzione più idonea del problema dell'unità d'Italia.
Il pensiero politico del sacerdote trentino si differenziava, affiancandosi, alle correnti di pensiero federaliste che si svilupparono in quegli anni: quella che faceva capo a Gioberti, quella che si rifaceva a Cattaneo e quella portata avanti da Ulloa.
Il Direttore del Centro internazionale degli studi rosminiani, Umberto Muratore, ha così sintetizzato il progetto federalista proposto da Antonio Rosmini: il progetto prevedeva un inizio di federazione italiana che abbracciasse insieme i regni di Roma, Firenze e Torino sotto forma di "Lega Politica". Questa Lega doveva essere "come il nucleo cooperatore della nazionalità italiana", un inizio aperto agli altri Stati che volessero in futuro entrare a farne parte. La Lega doveva concepirsi come una confederazione perpetua di questi primi tre Stati, sotto la presidenza onoraria perpetua del Papa.
La Confederazione doveva anzitutto elaborare una "Costituzione federale" da prepararsi mediante un' Assemblea costituente. Una volta costituitasi sarà governata da una Dieta permanente, che risiederà a Roma. I membri della Dieta vengono eletti per un terzo dai Principi, per gli altri due terzi dalle due camere dei rappresentanti del popolo.
Compiti specifici della Dieta sono gli affari comuni a tutti gli Stati: dichiarare guerra e pace, regolare le dogane e ripartire spese e entrate, stipulare contratti commerciali con Stati estranei alla Confederazione, uniformare il sistema di monete, pesi, misure, esercito, commercio, poste, procedura civile e penale. Il compito di vigilare sul rispetto dell'uguaglianza politica tra gli Stati interni e fra Stato e singoli cittadini veniva demandato a dei tribunali speciali che Rosmini chiamava "tribunali politici" o tribunali di giustizia.
I tre Stati iniziali avrebbero favorito già dal nascere il futuro ingresso nella confederazione del Regno di Napoli, di alcuni Stati minori e dei territori che si sperava venissero a liberarsi dalla dominazione austriaca. In particolare, il Lombardo -Veneto si sperava venisse a fondersi col Regno di Sardegna, formando un solo Stato; mentre Parma e Modena sarebbero confluite in uno degli altri Stati. Per cui la futura Confederazione italiana sarebbe stata formata da questi Stati: Sardegna (che comprendeva la Sardegna vera e propria, il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, il Veneto, magari un domani il Trentino: tutti uniti come Alta Italia), Toscana, Stato pontificio, Regno di Napoli o delle due Sicilie. Quattro Stati in tutto; oggi diremmo quattro macro-regioni.
La volontà di Rosmini era quella di far convivere tutte le realtà presenti nell'Italia di allora all'interno di una cornice statuale unitaria e federale. Proprio in quest'ottica di "unità nella diversità", Rosmini intendeva salvaguardare i principi, la religione e il popolo di quell'Italia pre-unitaria che viveva una stagione di grandi smottamenti politici e sociali. Rosmini guardava agli Stati Uniti d'America e, parafrasando Alexis de Tocqueville, scrisse uno dei più belli tra i pensieri federalisti che ci sono giunti dall'Ottocento: "L'unità nella varietà è la definizione della bellezza. Ora la bellezza è per l'Italia. Unità la più stretta possibile in una sua naturale varietà: tale sembra essere la formula della organizzazione italiana".
(di Emanuele Pozzolo)
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