Qualcuno ricorderà una canzone di Carla Boni e Gino Latilla del 1957 che piaceva molto: “Aveva una casetta piccolina in Canadà, con vasche, pesciolini e tanti fiori di lillà…”. Piaceva perché rappresentava il sogno di milioni di persone: possedere una casa, un appartamento, un posto decente dove abitare. Con il tempo, molti l’hanno realizzato. Ma per tanti resta una chimera. Questo spiega perché la casa sia ancora al primo posto nelle chiacchiere che si fanno in un gran numero di famiglie.
Se poi la casa di cui si parla riguarda un politico, le chiacchiere vanno a mille. L’ex ministro Scajola è diventata famoso non per il lavoro svolto, buono o cattivo che fosse. Ma per la faccenda dell’appartamento che un mister X gli avrebbe regalato, in tutto o in parte. Lo stesso vale per Gianfranco Fini, il presidente della Camera. Ormai anche dal parrucchiere le signore parlano di lui, della casa di Montecarlo, del cognato che ci vive, del modo singolare in cui è stata acquisita, poi venduta, poi rivenduta, poi affittata. Mi hanno raccontato che un signora, nel farsi la piega, domandava: “Ma che cosa sarà questo off shore? Un nuovo modello di reggiseno?”.
Naturalmente è possibile che Fini non sappia nulla dell’appartamento di Montecarlo. E che sia finito sui giornali soltanto perché ha divorziato da Silvio Berlusconi. Scriviamo sempre che il garantismo è un pilastro della società liberale. Anche se spesso su questo pilastro molti ci fanno i loro bisogni. Ma l’etica ci impone di essere garantisti nei confronti di tutti. Anche di un politico importante come Fini, la terza carica dello Stato. Che per difendersi ha molti più mezzi dell’uomo della strada senza potere.
Il guaio è che Fini non parla, non spiega, non dice una sillaba per ribattere alla valanga di parole che i media stanno scaraventando sulla faccenda di Montecarlo e, di riflesso, su di lui. È il primo aspetto paradossale di questa storia. Fini non ha mai amato il silenzio. Soltanto negli ultimi mesi, per non andare più lontano nel tempo, ha esternato di continuo, quasi tutti i giorni. Non si poteva aprire un giornale o accendere la tivù senza inciampare in una dichiarazione del presidente della Camera. Pensate alla tortura inflitta all’italiano qualunque. Ma non appena è emersa la storia di Montecarlo, Fini è diventato il muto di Montecitorio. Almeno sino al momento nel quale scrivo questa puntata del Bestiario: la mattina di sabato 7 agosto 2010.
Se poi la casa di cui si parla riguarda un politico, le chiacchiere vanno a mille. L’ex ministro Scajola è diventata famoso non per il lavoro svolto, buono o cattivo che fosse. Ma per la faccenda dell’appartamento che un mister X gli avrebbe regalato, in tutto o in parte. Lo stesso vale per Gianfranco Fini, il presidente della Camera. Ormai anche dal parrucchiere le signore parlano di lui, della casa di Montecarlo, del cognato che ci vive, del modo singolare in cui è stata acquisita, poi venduta, poi rivenduta, poi affittata. Mi hanno raccontato che un signora, nel farsi la piega, domandava: “Ma che cosa sarà questo off shore? Un nuovo modello di reggiseno?”.
Naturalmente è possibile che Fini non sappia nulla dell’appartamento di Montecarlo. E che sia finito sui giornali soltanto perché ha divorziato da Silvio Berlusconi. Scriviamo sempre che il garantismo è un pilastro della società liberale. Anche se spesso su questo pilastro molti ci fanno i loro bisogni. Ma l’etica ci impone di essere garantisti nei confronti di tutti. Anche di un politico importante come Fini, la terza carica dello Stato. Che per difendersi ha molti più mezzi dell’uomo della strada senza potere.
Il guaio è che Fini non parla, non spiega, non dice una sillaba per ribattere alla valanga di parole che i media stanno scaraventando sulla faccenda di Montecarlo e, di riflesso, su di lui. È il primo aspetto paradossale di questa storia. Fini non ha mai amato il silenzio. Soltanto negli ultimi mesi, per non andare più lontano nel tempo, ha esternato di continuo, quasi tutti i giorni. Non si poteva aprire un giornale o accendere la tivù senza inciampare in una dichiarazione del presidente della Camera. Pensate alla tortura inflitta all’italiano qualunque. Ma non appena è emersa la storia di Montecarlo, Fini è diventato il muto di Montecitorio. Almeno sino al momento nel quale scrivo questa puntata del Bestiario: la mattina di sabato 7 agosto 2010.
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