Cominciò dando battaglia al giudice Felice Casson fino a proclamare la fedeltà a Gladio: «Sono uno di quei ragazzi che il 18 aprile faceva parte di una formazione armata, a Sassari, come in tante altre città d'Italia. Giovani dicì armati dall'arma dei carabinieri, per difendere le sedi dei partiti e noi stessi nel caso i comunisti, perdute le elezioni, avessero tentato un colpo di Stato ». Furente con la «sua» Dc e soprattutto con Giulio Andreotti dai quali si sentiva sempre più isolato, allargò il tiro. E prese a mettere in discussione tutto e tutti. Davanti allo sconcerto, sulle prime, ci rise su: «Qualcuno dice che sono un po’ matto. Ma dalla diagnosi di schizofrenia si è passati a quella di nevrosi e ormai siamo vicini a un leggero stato d'ansia. Alla fine del mio mandato sarò completamente sano ».
Gli chiedo pubblicamente scusa per giudizi forse grossolani e affrettati e atti che non volevano essere offensivi da me compiuti nei suoi confronti ». Quali atti? Una serie di regali. Ai quali il magistrato aveva reagito con una denuncia. Dove spiegava, come riassunse l'Ansa, «d'avere ricevuto in dono un triciclo, una papera-salvagente e "Supercluedo" un gioco da piccoli detective, accompagnati dall' invito di prendersi una vacanza». C'era tutto Cossiga, nei regali che faceva. Alla senatrice Tana De Zulueta, che gli pareva naif, consegnò «Alice nel paese delle meraviglie». A Massimo D'Alema inviò un bambolotto di zucchero: «Siccome Berlusconi dice che mangia i bambini...» A Franco Mazzola, un fedelissimo accusato di tradimento, fece recapitare 30 denari di cioccolato. A Cesare Salvi, reo d'aver chiesto l'abolizione dei senatori a vita, mandò un pacco di pannoloni perché «la smettesse di avere gli incubi notturni e di fare la pipì a letto».
Passata la metà della vita a controllarsi fino a raggiungere tutti i traguardi possibili, trascorse l'altra metà infischiandosene di ogni liturgia. Anzi, più scandalizzava e più si divertiva. Come quando, alle prime manifestazioni dell'Onda studentesca, consigliò a Roberto Maroni di «infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città». Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri». Nel senso che... «Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale». Anche i docenti? «Soprattutto i docenti». Le avesse dette venti anni fa, quelle cose, sarebbe venuto giù il soffitto. Adesso, alzarono un po’ tutti le spalle: «Uffa, Cossiga!».
Marcello Dell'Utri ne diede una definizione folgorante: «Ormai è come il nonno di casa: fai finta di niente anche se esce in mutande ». Lasciato il Quirinale a 64 anni ancora da compiere, tre lustri prima dell'età in cui comunemente gli altri presidenti vengono eletti, confidava agli amici di annoiarsi, in quella sorta di pensione anticipata di lusso. Si era dunque ritagliato uno spazio eccentrico. Dal quale si divertiva a lasciar cadere dentro la politica italiana tutte le provocazioni possibili (spesso dense di verità che nessun altro poteva permettersi di confessare) come certi monelli lanciano petardi in mezzo alle cerimonie solenni. Implacabile «impiccababbu» sugli avversari (a Marcello Pera che l'aveva accusato di rubare parlamentari come i suoi avi rubavano pecore, rispose ricordando che «che nella tradizione italiana i nomi inanimati sono sempre stati assegnati a chi aveva incerte origini. Lascio dunque immaginare al presidente Pera quale fosse il mestiere delle sue ave») aveva il merito di non risparmiarsi le auto-punzecchiature. Neppure nella veste di Externator: «In realtà non esterno: comunico. Parlo e qualche volta straparlo. Eccedo».
(di Gian Antonio Stella)
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