Nel giorno di Bologna, Valerio Fioravanti vuole ricordare gli altri. Le trentatré vittime dei Nar, i nuclei armati rivoluzionari neofascisti. I suoi morti. "E non sono pochi". Di tutti quegli omicidi - anche quelli non commessi in prima persona - sente il peso sulla coscienza. E da tempo ha iniziato un percorso di elaborazione del rimorso contattando i loro parenti. "Voglio incontrare i parenti di quelli che ho ucciso con le mie mani". Quanti? "Il numero non ha importanza". Chi sono? "Non lo rivelo, sono colloqui riservati e privati. Quattro o cinque per ora, ma la mia intenzione è parlare con tutti. E a tutti chiedere perdono". Come hanno reagito quelli contattati finora? "Persone stupende, garbate". A quegli appuntamenti c'era anche Francesca Mambro, la moglie e complice che s'è assunta la responsabilità morale di tutte le 33 vittime, senza, però, essersi mai sporcata le mani di sangue. "Sono stati momenti strazianti", ricorda la donna.
Nel giorno di Bologna, Fioravanti, oggi cittadino libero che si definisce "ex criminale", parla "dell'incredibile paradosso" che lo riguarda. "Gli 85 morti della stazione, di cui non sentiamo la responsabilità, hanno oscurato e fatto dimenticare le nostre vittime". "Pur non sentendoci colpevoli - rivela la Mambro - abbiamo incontrato anche la sorella di una persona morta a Bologna, Anna Di Vittorio: è stato un incontro profondo perché lei ha voluto andare oltre i dubbi lasciati dalle sentenze. Per parlare di pacificazione".
Oggi, trentesimo anniversario di Bologna, l'uomo condannato all'ergastolo che ha finito di scontare un anno fa (all'epoca della strage aveva 22 anni, oggi ne ha 52, ed è dipendente del Partito Radicale), non parlerà. "Starò zitto perché voglio evitare l'ennesima contrapposizione emotiva con i familiari delle vittime. L'emotività è contundente e si usa per fare del male a qualcuno, cosa che io non voglio". "Se parlassi - dice - sarebbe una dialettica fatta di emozioni che non porterebbe a nulla, io sulle mie posizioni, i parenti sulle loro. È un fatto che si ripete da anni. Occupa una pagina dei giornali il due agosto. Ma il giorno dopo cala l'oblio sulla strage di Bologna fino all'anno successivo. Io, invece, voglio che la riflessione sulla strage sia fatta ogni giorno per arrivare alla revisione del processo". Quel silenzio è un "dispetto a chi resta emotivamente arroccato alla verità giudiziaria e si rifiuta di rivedere in modo razionale e distaccato quegli anni, alla luce di quanto sta emergendo a livello internazionale". La condanna nei confronti suoi e di Francesca Mambro per Bologna è stata confermata dalla Cassazione nel novembre del '95. È stato considerato credibile il teste d'accusa, Massimo Sparti, secondo il quale il 4 agosto 1980 Fioravanti andò a casa sua e, dopo aver esclamato "hai visto che botto", chiese documenti falsi perché "erano passati da Bologna".
"Ho accettato la sentenza di condanna perché emessa nel nome del popolo italiano". "Ma - aggiunge - l'ho sempre ritenuta ingiusta e sbagliata". Siete stati voi a mettere la bomba a Bologna il 2 agosto del 1980? Ora, da cittadino libero, può dire la verità, in fondo, ha pagato il suo conto con la giustizia. "Mi sono assunto la responsabilità delle vittime dei Nar, perché mai non avrei dovuto avere il coraggio di rivendicare anche quelle di Bologna? Semplice, perché quella strage non appartiene né a me e a Francesca, né alla storia e all'ideologia dei Nuclei armati rivoluzionari. Nessun filo lega gli anni dello stragismo di destra interrottosi nel '74 con noi dei Nar negli anni Ottanta". Però siete stati condannati. "Al di là delle responsabilità come Nar che ci rendono meritevoli delle relative punizioni, di fronte a una stazione ferroviaria saltata per aria, la risposta dello Stato italiano, attraverso la magistratura bolognese, è stata: "Non si sa chi materialmente abbia messo la bomba, non si conoscono mandanti né movente né si ha notizia della provenienza dell'esplosivo. Si sa solo che a metà della catena di comando c'erano un ragazzo e una ragazza di 22 anni provenienti da Roma. Ai quesiti irrisolti, dice la sentenza, sarà data risposta con indagini successive. Sono passati 15 anni, ma ancora oggi non si conoscono mandanti, movente, esecutori e provenienza dell'esplosivo. È una sentenza rimasta appesa al vuoto". Nella speranza di ottenere la revisione, l'"ex criminale" Fioravanti chiese tempo fa un colloquio riservato con Francesco Cossiga. "Cossiga, gli domandai, mi dia un pezzo di carta per riaprire un processo, un foglietto che dimostri che Sparti è stato pagato dai servizi per accusarci. Oppure che dimostri il ruolo di Gheddafi nella strage come ritorsione al tentativo, circa un mese prima, di ucciderlo sui cieli italiani. Tentativo ammesso più volte dal leader libico e poi concluso con il tragico errore dell'abbattimento del Dc9 a Ustica". "Foglietti non ce ne sono - rispose l'ex presidente della Repubblica - ma Gheddafi con Bologna non c'entra. La strage fu provocata da esplosivo palestinese in transito per la stazione bolognese, ma esploso per errore".
(fonte: http://www.repubblica.it/)
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