lunedì 2 agosto 2010

I novelli futuristi e un duello retorico su antichi fantasmi

Di "futurista" in senso proprio, c'è forse solo il richiamo alle spavalde scazzottature che animavano le serate nei cabaret quando Filippo Tommaso Marinetti faceva deflagrare il suo esplosivo avanguardistico. Per il resto, appare un po' patetica, persino un pochino retrò e nostalgica (povero Marinetti), questa corsa a chi è più "futurista" nella bolgia scissionistica che accompagna il divorzio tra berlusconiani e finiani.

Il gruppo finiano si autobattezza «Futuro e libertà», ma non è che il futuro sia per definizione futurista, come ciò che è comune non fa il comunista, e un fascio non diventa di per sé sinonimo di fascista. E invece, «futurista» è la bandiera del «Secolo d'Italia» finiano. E gli antifiniani come Pietrangelo Buttafuoco esclamano: «Fini futurista? Ma mi facciano il piacere». E Giampaolo Pansa compiange il destino del «povero Futurista». E nel pensatoio «Fare Futuro», antemarcia per marchio e insegna, si suggerisce di un «manifesto del nuovo futurismo». In attesa di un nuovo Boccioni, o dell'immaginazione sfrenata di un Sant'Elia, o di un componimento in «parole libere». O di un proclama in cui si dichiari marinettianamente la guerra «sola igiene del mondo». O in attesa che audaci, dinamici e velocisti, quelli del gruppo parlamentare di «Futuro e libertà» realizzino il minaccioso intento futurista di ammazzare «il chiaro di luna» e di lasciar inghiottire la museale Venezia nei gorghi del passato asfissiante. In attesa di tutto questo, non è un bello spettacolo (né futurista, né passatista) questo mescolare così sfrontato di politica e letteratura. E se si lasciasse in pace il fantasma di Filippo Tommaso Marinetti?

Bisogna considerare infatti che attorno al «futurismo» un'ansia di «riabilitazione» si è addensata negli anni in cui la «destra» è stata sdoganata e portata alle glorie del governo nazionale. Una storia, quella «futurista», soffocata dalle spire dell'«egemonia culturale» di sinistra e antifascista che non avrebbe perdonato l'adesione al regime fascista di Marinetti. Mostre sul futurismo, fiction sul futurismo, libri sul futurismo letti e interpretati come riscatto, testimonianza che la «destra» in Italia ha avuto una grande cultura e una grande arte colpevolmente sottaciuta e sottovalutata. Ecco perché la disputa sulle spoglie del futurismo divampa così intensa tra chi, nel momento della scissione, attinge a un comune patrimonio simbolico e a personalità che testimonino la grandezza di una storia. Una storia che si spezza, ma comunque una grande storia. Ma immaginare che un redivivo Marinetti oggi possa optare tra chi ha rotto con Berlusconi e chi ha deciso di rimanergli fedele sembra un esercizio retorico questo sì, un pò passatista. Che poi si debba aderire a una poetica anziché a un programma di governo, soddisfa più un'esigenza di trovare illustri precursori che la volontà di fissare una linea politica. Meglio lasciare il futurismo ai manuali scolastici di storia dell'arte e della letteratura.

(di Pierluigi Battista)

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