Si può anche finire col recuperare un avversario disprezzatissimo, anzi, in questo caso forse lo si può dire: odiatissimo. “Con i suoi mille difetti e con tutta la sua disarmante mancanza di coraggio, preferisco il politico Fini all’atteggiamento padronale di Berlusconi. Per la verità, mi andrebbe bene anche il Mago Zurlì a capo del governo”. Non sembra un complimento a Fini, ma lo è, se a pronunciare queste parole è Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, uno di quegli uomini che la destra ereticale e orgogliosamente minoritaria ha monumentalizzato in vita; l’aristocratico, per nascita e uso di mondo; l’ex missino, oggi settantottenne, che in opposizione a Gianfranco Fini, assieme ai discepoli di Beppe Niccolai e Pino Romualdi, abbandonò l’Msi quando l’ex delfino di Almirante tornò a esserne segretario nel 1991. “Da un po’ di tempo Fini ha preso a dire cose che in parte condivido”, dice. “Certo, un gran coraggio non l’ha mai avuto e il coraggio uno se non ce l’ha non se lo può dare. Ma è sempre stato anche un fortunato Fini, uno che è nato ‘con il fiore nel culo’. Come le zucchine. Vedremo se darà seguito alle promesse. Ho settantotto anni e i miei orizzonti, va da sé, sono molto limitati. I sogni me li sono lasciati alle spalle e non mi aspetto niente. Ma l’umiliazione di vedere questo Pdl nel quale non mi riconosco, anche dal punto di vista estetico e antropologico, non avrei mai immaginato di poterla vivere”.
Staiti di Cuddia, sembra di capire, ha una singolare simpatia per Fini. Condizionata a una premessa: che l’ex leader di An pratichi una sorta di sacrificio rituale, che si abbatta, come un kamikaze, contro il Cavaliere. “Dovrebbe avere il coraggio di rompere definitivamente, creare un partito, piegare il governo”, dice. Ma lei voterebbe mai per Fini? “Non credo”. Questa è forse la maledizioni di Fini. L’ex leader di An suscita simpatie “a contrario”. Ma quanti lo voterebbero sul serio? Anche Staiti chiede al suo antico avversario di farsi esplodere a Palazzo Grazioli senza offrire nulla in cambio? “Non so se è un suicidio o una resurrezione. Adesso Fini mi sembra al centro della narrazione politica da una posizione molto ambigua. Si vorrebbe tutti infatti sapere, alla fine, da che parte si fermerà il pendolo. Metterà in crisi il governo, o non lo farà? In attesa che si sciolga il dubbio, non mi sento in grado di manifestare alcuna apertura di credito nei suoi confronti. Nel senso che: ‘Prima vedere soldi, poi cammello’”. Dunque chissà.
Lavoriamo di fantasia: Fini conquista il governo, quale destra deve incarnare? Cosa deve essere oggi la destra? “Io non so più se posso definirmi di destra. Queste definizioni sono diventate talmente vaghe da aver perso ogni significativa connotazione. Però, per il bene di questo paese, vorrei si manifestasse una destra non beghina, non bigotta, meno ossequiente ai poteri forti internazionali, capace di far recuperare all’Italia una coscienza di sé. Il Risorgimento ha avuto un senso perché alla fine aveva contribuito a dare una missione a questo paese: il Mediterraneo. Trent’anni fa qualcuno aveva ipotizzato un mercato comune del Mediterraneo che forse avrebbe permesso di dare qualche risposta anticipata ai problemi dell’immigrazione o della delocalizzazione economica. Sfide storiche che oggi la Lega vuole risolvere al modo di quella che ho sempre definito la ‘becerodestra’”. Scusi, cos’è la “becerodestra”? “Oggi in questa categoria ci rientrano i tipi alla Gasparri, un tempo la becerodestra era il Borghese dopo Longanesi. Gianna Preda, parlandone da viva, era un po’ così”. Insomma per Staiti è rimasta soltanto la becerodestra? “Credo che nel prossimo futuro ci aspetti un conflitto culturale tra la destra antiunitaria, rappresentata dalla Lega, e una destra nazionale che potrebbe vedere la luce”.
Potrebbe essere Fini? “Se sarà coraggioso o fortunato, sennò potrebbe essere qualcun altro”. Una specie di Lega tricolore. “Anche a me danno noia il degrado dei campi nomadi o il vedere certi quartieri delle nostre città trasformati in suk. Ma sono cose che andavano previste e affrontate prima, con un progetto di lungo periodo, ambizioso, non coi toni sguaiati ed emergenziali che ci propinano adesso. Va trovato il modo di far sì che gli immigrati stanziali possano diventare orgogliosi di essere italiani. In questo sono d’accordo con Fini. Gheddafi, pochi giorni fa, ha detto una cosa vera nel ricatto che ha lanciato all’Europa: da noi c’è un miraggio di ricchezza. Se ci pensiamo, è sempre stata la fame a scatenare i meccanismi predatori e di conquista. I barbari furono spinti da queste meccaniche. Ora si tratta di sviluppare risposte nuove, anziché attingere al peggiore bagaglio della peggiore destra”. Una volta Staiti appellò Fini “l’uomo Lebole”. Con questo epiteto voleva colpirne l’aspetto e la sostanza piccolo borghese, il suo pensare borghese, forse denunciarne la presunta vacuità. Lo direbbe ancora? Staiti sorride. “A quel tempo mi telefonò la sua prima moglie, Daniela Di Sotto. Mi disse, risentita: ‘Ma come l’uomo Lebole? Gianfranco veste da Cenci!’. Ecco, Fini è tutto in questa telefonata”.
Staiti di Cuddia, sembra di capire, ha una singolare simpatia per Fini. Condizionata a una premessa: che l’ex leader di An pratichi una sorta di sacrificio rituale, che si abbatta, come un kamikaze, contro il Cavaliere. “Dovrebbe avere il coraggio di rompere definitivamente, creare un partito, piegare il governo”, dice. Ma lei voterebbe mai per Fini? “Non credo”. Questa è forse la maledizioni di Fini. L’ex leader di An suscita simpatie “a contrario”. Ma quanti lo voterebbero sul serio? Anche Staiti chiede al suo antico avversario di farsi esplodere a Palazzo Grazioli senza offrire nulla in cambio? “Non so se è un suicidio o una resurrezione. Adesso Fini mi sembra al centro della narrazione politica da una posizione molto ambigua. Si vorrebbe tutti infatti sapere, alla fine, da che parte si fermerà il pendolo. Metterà in crisi il governo, o non lo farà? In attesa che si sciolga il dubbio, non mi sento in grado di manifestare alcuna apertura di credito nei suoi confronti. Nel senso che: ‘Prima vedere soldi, poi cammello’”. Dunque chissà.
Lavoriamo di fantasia: Fini conquista il governo, quale destra deve incarnare? Cosa deve essere oggi la destra? “Io non so più se posso definirmi di destra. Queste definizioni sono diventate talmente vaghe da aver perso ogni significativa connotazione. Però, per il bene di questo paese, vorrei si manifestasse una destra non beghina, non bigotta, meno ossequiente ai poteri forti internazionali, capace di far recuperare all’Italia una coscienza di sé. Il Risorgimento ha avuto un senso perché alla fine aveva contribuito a dare una missione a questo paese: il Mediterraneo. Trent’anni fa qualcuno aveva ipotizzato un mercato comune del Mediterraneo che forse avrebbe permesso di dare qualche risposta anticipata ai problemi dell’immigrazione o della delocalizzazione economica. Sfide storiche che oggi la Lega vuole risolvere al modo di quella che ho sempre definito la ‘becerodestra’”. Scusi, cos’è la “becerodestra”? “Oggi in questa categoria ci rientrano i tipi alla Gasparri, un tempo la becerodestra era il Borghese dopo Longanesi. Gianna Preda, parlandone da viva, era un po’ così”. Insomma per Staiti è rimasta soltanto la becerodestra? “Credo che nel prossimo futuro ci aspetti un conflitto culturale tra la destra antiunitaria, rappresentata dalla Lega, e una destra nazionale che potrebbe vedere la luce”.
Potrebbe essere Fini? “Se sarà coraggioso o fortunato, sennò potrebbe essere qualcun altro”. Una specie di Lega tricolore. “Anche a me danno noia il degrado dei campi nomadi o il vedere certi quartieri delle nostre città trasformati in suk. Ma sono cose che andavano previste e affrontate prima, con un progetto di lungo periodo, ambizioso, non coi toni sguaiati ed emergenziali che ci propinano adesso. Va trovato il modo di far sì che gli immigrati stanziali possano diventare orgogliosi di essere italiani. In questo sono d’accordo con Fini. Gheddafi, pochi giorni fa, ha detto una cosa vera nel ricatto che ha lanciato all’Europa: da noi c’è un miraggio di ricchezza. Se ci pensiamo, è sempre stata la fame a scatenare i meccanismi predatori e di conquista. I barbari furono spinti da queste meccaniche. Ora si tratta di sviluppare risposte nuove, anziché attingere al peggiore bagaglio della peggiore destra”. Una volta Staiti appellò Fini “l’uomo Lebole”. Con questo epiteto voleva colpirne l’aspetto e la sostanza piccolo borghese, il suo pensare borghese, forse denunciarne la presunta vacuità. Lo direbbe ancora? Staiti sorride. “A quel tempo mi telefonò la sua prima moglie, Daniela Di Sotto. Mi disse, risentita: ‘Ma come l’uomo Lebole? Gianfranco veste da Cenci!’. Ecco, Fini è tutto in questa telefonata”.
(di Salvatore Merlo)
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