Il secolo e mezzo di Unità che si avvicina induce a ricordare: tutti i Padri della patria passarono per «sciupafemmine» e non solo non fecero nulla per contrastare una simile fama, ma se ne compiacquero e talvolta la favorirono. Sola eccezione, Giuseppe Mazzini che ci teneva al look di esule austero, e preferiva darsi da fare - e non poco, stando agli intimi - sous le manteau. Con grande discrezione, insomma. Ma pare che anche Ernesto Nathan, il primo sindaco massone di Roma, nato da una inglese amica dell'Apostolo, faccia parte della schiera dei figli naturali di colui «che giammai non rise», per dirla con Carducci. Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi, invece, non si adontarono affatto di una fama di femminieri, cui molti guardavano con ammirazione magari un po' invidiosa. Ma altri esempi seguirono, tra i politici italiani: persino il migliore, forse , tra questi, Giovanni Giolitti. Il quale - dice un rapporto di polizia - «è onesto, fedele alla parola data, non fa strappi alla morale, tranne che a quella coniugale».
Ma non c'è bisogno di informatori riservati, basta aver letto le memorie di coloro che furono intimi di quegli uomini per sapere come la «fornicazione attiva» - per parlare come un vecchio moralista - fosse preceduta e seguita da resoconti, battute e sconcezze varie non certo ripetibili al di fuori delle segrete stanze. In pubblico: persino per Garibaldi il privato, soprattutto sessuale, restava rigorosamente tale. Di certo, nessuno si abbandonava a confidenze e vanterie erotiche in mezzo a una strada, circondati da sconosciuti. Impensabile che anche il famelico re Vittorio, che pur faceva arrossire gli intimi - ma solo quelli - dicesse a passanti ignoti o a militari mai visti prima, di essere collezionista di barzellette e di ragazze: una al giorno. Parola, come si sa, di Berlusconi, il quale per il suo show ha scelto proprio la storiella che esigeva, in qualche modo, la bestemmia: il maschile di «orchidea» ha l'assonanza che ci è toccato sentire. Sgradevolissimo, certo, anche se, come ha osservato monsignor Fisichella, forse si tratta di un contesto volgare più che di una cosciente blasfemia. Più che la religione conta, probabilmente, l'insulsaggine della battuta.
Quanto agli ebrei, la macchia delle leggi razziali non può far dimenticare che nel Regno d'Italia prima e nella Repubblica poi, gli israeliti furono, semplicemente, italiani tra gli italiani: e tra i più attivi, spesso i più patriottici. In piena eguaglianza di diritti e di doveri, come ovvio. Eppure, anche qui, tra non pochi politici e intellettuali, soprattutto a sinistra, è serpeggiata sempre una certa diffidenza, se non ostilità antisemita, pur se mascherata da antisionismo politico. E battute e barzellette si sono succedute. Rigorosamente in privato, qui pure. Ma nessuno avrebbe immaginato un presidente del Consiglio che tira fuori battutacce sul mito dell'astuta avarizia ebraica ancora una volta in mezzo alla strada, aspettandosi la risata degli sconosciuti.
I benevoli potrebbero osservare che gli illustri predecessori antichi che abbiamo citato non erano a rischio smartphone, con registrazione audio e video a disposizione di chiunque. Ma è davvero un'attenuante? Può chi ha responsabilità di statista mancare in questo modo alla prima delle virtù per tutti, ma soprattutto prima per i politici: la prudenza? Già altri infortuni, talvolta con complicazioni internazionali (qualcuno ricorda la leader finlandese? O le corna alla foto di un summit mondiale ?) sono stati causati da un lasciarsi andare che può costituire una caratteristica personale, magari simpatica, in un signor Silvio imprenditore edile o impresario televisivo. Ma l'onorevole Berlusconi, capo di un governo che ha un posto nel club esclusivo del G8, può dimenticare che ogni ruolo sociale e professionale ha le sue leggi? E che nel suo, di ruolo, non valgono le usanze che possono portarci a definire qualcuno, frequentato al bar o allo stadio, «un po' sboccato ma spontaneo, un gran simpaticone»?
Ma non c'è bisogno di informatori riservati, basta aver letto le memorie di coloro che furono intimi di quegli uomini per sapere come la «fornicazione attiva» - per parlare come un vecchio moralista - fosse preceduta e seguita da resoconti, battute e sconcezze varie non certo ripetibili al di fuori delle segrete stanze. In pubblico: persino per Garibaldi il privato, soprattutto sessuale, restava rigorosamente tale. Di certo, nessuno si abbandonava a confidenze e vanterie erotiche in mezzo a una strada, circondati da sconosciuti. Impensabile che anche il famelico re Vittorio, che pur faceva arrossire gli intimi - ma solo quelli - dicesse a passanti ignoti o a militari mai visti prima, di essere collezionista di barzellette e di ragazze: una al giorno. Parola, come si sa, di Berlusconi, il quale per il suo show ha scelto proprio la storiella che esigeva, in qualche modo, la bestemmia: il maschile di «orchidea» ha l'assonanza che ci è toccato sentire. Sgradevolissimo, certo, anche se, come ha osservato monsignor Fisichella, forse si tratta di un contesto volgare più che di una cosciente blasfemia. Più che la religione conta, probabilmente, l'insulsaggine della battuta.
Quanto agli ebrei, la macchia delle leggi razziali non può far dimenticare che nel Regno d'Italia prima e nella Repubblica poi, gli israeliti furono, semplicemente, italiani tra gli italiani: e tra i più attivi, spesso i più patriottici. In piena eguaglianza di diritti e di doveri, come ovvio. Eppure, anche qui, tra non pochi politici e intellettuali, soprattutto a sinistra, è serpeggiata sempre una certa diffidenza, se non ostilità antisemita, pur se mascherata da antisionismo politico. E battute e barzellette si sono succedute. Rigorosamente in privato, qui pure. Ma nessuno avrebbe immaginato un presidente del Consiglio che tira fuori battutacce sul mito dell'astuta avarizia ebraica ancora una volta in mezzo alla strada, aspettandosi la risata degli sconosciuti.
I benevoli potrebbero osservare che gli illustri predecessori antichi che abbiamo citato non erano a rischio smartphone, con registrazione audio e video a disposizione di chiunque. Ma è davvero un'attenuante? Può chi ha responsabilità di statista mancare in questo modo alla prima delle virtù per tutti, ma soprattutto prima per i politici: la prudenza? Già altri infortuni, talvolta con complicazioni internazionali (qualcuno ricorda la leader finlandese? O le corna alla foto di un summit mondiale ?) sono stati causati da un lasciarsi andare che può costituire una caratteristica personale, magari simpatica, in un signor Silvio imprenditore edile o impresario televisivo. Ma l'onorevole Berlusconi, capo di un governo che ha un posto nel club esclusivo del G8, può dimenticare che ogni ruolo sociale e professionale ha le sue leggi? E che nel suo, di ruolo, non valgono le usanze che possono portarci a definire qualcuno, frequentato al bar o allo stadio, «un po' sboccato ma spontaneo, un gran simpaticone»?
(di Vittorio Messori)
Nessun commento:
Posta un commento