Una frase che ha reso famoso lo scrittore Massimo Fini, da sempre convinto oppositore dei danni provocati dal mezzo televisivo, che non manca, sul mensile da lui diretto - «La voce del ribelle» - di ribadire il proprio credo.
La sua posizione di critica negativa si è rafforzata alla luce degli ultimi fatti di cronaca così spettacolorizzati?
«Sì, se mai ce ne fosse stato bisogno. La televisione ha distrutto quel che rimane della cultura italiana: lo si vede, purtroppo quasi tutti i giorni, in questo gioco di controspecchi, di primi piani, di dichiarazioni a effetto studiate a tavolino. La televisione ci ha completamente diseducato».
In che senso la tv sta diseducando il popolo italiano?
«Semplice. La televisione ha educato la gente a comparire, ad esserci a tutti i costi. A fare capolino tra una telecamera e l'altra e a giurare di essere stato testimone di chissà che cosa. Pur di esserci, di essere riconosciuto. Ricordo i funerali di Fausto Coppi, con tanta gente discreta e sinceramente commossa a seguire il feretro in religioso silenzio. Oggi succede esattamente il contrario. Anche il fragore dell'applauso è entrato nel copione già scritto degli occulti registi delle dirette del dolore. Un regresso pauroso, persino rispetto alle culture di molti rispettabili Paesi centroafricani dove i due valori preminenti sono il silenzio e il controllo di sé».
Ci sono differenze tra l'informazione pubblica e quella privata?
«No. E la mia scelta di distruggere a mazzate un apparecchio televisivo davanti alla sede Rai di viale Mazzini è solo emblematica. Peraltro, quello che è successo durante "Chi l'ha visto" merita una riflessione più ampia che invece mi sembra già rientrata nel trash dei nuovi collegamenti di tutte le tv presenti sul posto».
Ma anche la carta stampata ha le sue responsabilità?
«Indubbiamente, ma quelle della televisione sono sotto gli occhi tutti: la possibilità di mostrare in tempo reale immagini e di raccogliere testimonianze a braccio non ammettono alcuna mediazione. L'effetto è devastante».
Quale rimedio suggerisce?
«Per i Paesi occidentali farei una pausa di una decina d'anni spegnendo tutte le televisioni».
Registriamo la provocazione, ma ovviamente non sarà possibile. Cosa propone nell'immediato, sul piano pratico?
«Ispirare il legislatore verso la creazione di norme che certifichino le regole del buon gusto e di una cronaca attendibile».
E come la mettiamo col diritto di cronaca?
«Quando facevo il cronista giudiziario, negli anni '70, vigeva ancora il concetto per il quale il magistrato parlava esclusivamente attraverso atti e documenti durante la fase istruttoria. Solo la fase dibattimentale diventava pubblica».
Ma oggi anche i magistrati sono spesso vittime del protagonismo delle immagini?
«È vero. Andrebbe ristabilito il segreto istruttorio. Ma di questi tempi è bene precisare che le intercettazioni, per un certo tipo di indagine, devono restare nelle mani delle Procure: l'importante è che non vengano pubblicate il giorno dopo sui quotidiani».
(fonte: http://www.iltempo.it/)
Nessun commento:
Posta un commento