Spero di aver capito male, sinceramente. Se così non è, confesso che l`ipotesi prospettata dal presidente della Camera Gianfranco Fini, rilanciata dai suoi collaboratori, di un cambio di maggioranza, mi fa rabbrividire. Qualora si concretizzasse, infatti, saremmo davanti all`inversione radicale dell`orientamento al quale da sempre la destra italiana si è mantenuta fedele; fin da quando, tanto per intenderci, essa s`incarnava nel Msi ed ancor più quando si rinnovò in Alleanza nazionale. Rabbrividisco, naturalmente, perché intimamente convinto, come credo lo siano anche coloro che hanno seguito Fini in Futuro e libertà, che nulla in politica vale più del patto stipulato con gli elettori. E questo atteggiamento etico e politico, al di là delle strumentali giustificazioni a sostegno del contrario, è stato il lascito più significativo della vecchia destra accettato a Fiuggi e mai messo in discussione nei successivi quindici anni. Almeno fino ad oggi.
Ricordo, tanto per rinfrescare la memoria a chi l`ha smarrita, che alla partitocrazia che tentava, spesso riuscendoci, di tenersi in vita aggrappandosi al collaudato espediente del trasformismo, la destra, in ogni tempo, si è legittimamente e duramente opposta. Coerente con la propria storia, essa alle disinvolte operazioni di Palazzo ha sempre preferito il confronto elettorale, perfino quando sapeva che dalle urne non avrebbe ottenuto un risultato favorevole. Benché il sistema proporzionale non vincolasse più di tanto le forze politiche al mandato ricevuto, era il rispetto per i cittadini-elettori ad imporre alla destra una tale scelta che qualcuno reputava addirittura autolesionistica.
Non si capisce perché oggi, in un contesto sia pure approssimativamente bipolare, si dovrebbe mutare avviso davanti ad una maggioranza che va in frantumi. Favorendo la sua sostituzione, senza un passaggio elettorale, paradossalmente al punto di vedere al governo chi ha perso e all`opposizione di chi ha vinto, saremmo davanti alla rottura del vincolo che ha legato il centrodestra a coloro che gli hanno dato il consenso. Si converrà, comunque la si pensi, che una prospettiva del genere è francamente inquietante perché accentuerebbe il distacco tra il ceto partitico e la comunità popolare. Quest`ultima, oggettivamente, avvertirebbe l`avventurismo parlamentaristico come uno spossessamento delle ragioni che l`hanno determinata a scegliere.
A nulla valgono le motivazioni relative alle difficoltà economiche e finanziarie che il Paese attraversa per negare in radice l`assunto che la democrazia dell`alternanza non prevede mutamenti di maggioranza in corso d`opera. Ed ancor più risibile è la richiesta avanzata da numerosi soggetti di una nuova legge elettorale, secondo i quali soltanto una coalizione diversa da quella che sostiene il governo potrebbe varare per poi finalmente imboccare la strada del voto. Curiosamente chi si batte per ottenere questo scopo, non sembra avere a cuore il metodo a dir poco discutibile di compilazione delle liste, approvato dagli stessi oligarchi che ne hanno beneficiato ed oggi mostrano di pentirsene. I nuovi censori sono piuttosto preoccupati per quel premio di maggioranza che è il solo strumento in grado di garantire stabilità ai governi e sono ben determinati ad eliminarlo. Guarda caso sono i maggioritaristi ed i bipolaristi di ieri a chiederne la soppressione, incuranti che in quasi tutte le democrazie europee nessuno si sogna di metterlo in discussione.
Gli italiani hanno il diritto di essere governati da chi ha ottenuto più suffragi. Se la maggioranza uscita dalle urne viene meno, non si può far finta di nulla ed invocare la Costituzione formale secondo la quale i governi si formano ancora in Parlamento. E vero, ma non è altrettanto vero che il sistema elettorale prevede l`indicazione del candidato premier ed è a lui soprattutto, prima che alle coalizioni ed ai partiti, che si indirizzano i consensi? Se, sul punto, la legge è ambigua perché consente la coesistenza di ciò che non dovrebbe coesistere, bisogna addebitare la responsabilità a quella stessa classe politica che non ha saputo riformare le istituzioni e a fasi alterne si pronuncia a favore di maggioranze variabili per poi criticarle quando non confacenti ai propri disegni.
Al punto in cui siamo, etica elogica vorrebbero che si facesse chiarezza in due soli modi possibili: la coalizione di centrodestra ritrova la coesione necessaria per attuare il programma di governo (che non è una camicia di Nesso) ed affrontare i suoi corollari (perché non si può far finta che non esistano: le emergenze naturali e civili non previste si dovrebbero trascurare?) e va avanti fino alla fine della legislatura; se le condizioni non ci sono, si stacca la spina e si vota. Tertium non datur. Il resto non appartiene alla buona politica. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di soluzioni pasticciate.
(di Gennaro Malgieri)
Ricordo, tanto per rinfrescare la memoria a chi l`ha smarrita, che alla partitocrazia che tentava, spesso riuscendoci, di tenersi in vita aggrappandosi al collaudato espediente del trasformismo, la destra, in ogni tempo, si è legittimamente e duramente opposta. Coerente con la propria storia, essa alle disinvolte operazioni di Palazzo ha sempre preferito il confronto elettorale, perfino quando sapeva che dalle urne non avrebbe ottenuto un risultato favorevole. Benché il sistema proporzionale non vincolasse più di tanto le forze politiche al mandato ricevuto, era il rispetto per i cittadini-elettori ad imporre alla destra una tale scelta che qualcuno reputava addirittura autolesionistica.
Non si capisce perché oggi, in un contesto sia pure approssimativamente bipolare, si dovrebbe mutare avviso davanti ad una maggioranza che va in frantumi. Favorendo la sua sostituzione, senza un passaggio elettorale, paradossalmente al punto di vedere al governo chi ha perso e all`opposizione di chi ha vinto, saremmo davanti alla rottura del vincolo che ha legato il centrodestra a coloro che gli hanno dato il consenso. Si converrà, comunque la si pensi, che una prospettiva del genere è francamente inquietante perché accentuerebbe il distacco tra il ceto partitico e la comunità popolare. Quest`ultima, oggettivamente, avvertirebbe l`avventurismo parlamentaristico come uno spossessamento delle ragioni che l`hanno determinata a scegliere.
A nulla valgono le motivazioni relative alle difficoltà economiche e finanziarie che il Paese attraversa per negare in radice l`assunto che la democrazia dell`alternanza non prevede mutamenti di maggioranza in corso d`opera. Ed ancor più risibile è la richiesta avanzata da numerosi soggetti di una nuova legge elettorale, secondo i quali soltanto una coalizione diversa da quella che sostiene il governo potrebbe varare per poi finalmente imboccare la strada del voto. Curiosamente chi si batte per ottenere questo scopo, non sembra avere a cuore il metodo a dir poco discutibile di compilazione delle liste, approvato dagli stessi oligarchi che ne hanno beneficiato ed oggi mostrano di pentirsene. I nuovi censori sono piuttosto preoccupati per quel premio di maggioranza che è il solo strumento in grado di garantire stabilità ai governi e sono ben determinati ad eliminarlo. Guarda caso sono i maggioritaristi ed i bipolaristi di ieri a chiederne la soppressione, incuranti che in quasi tutte le democrazie europee nessuno si sogna di metterlo in discussione.
Gli italiani hanno il diritto di essere governati da chi ha ottenuto più suffragi. Se la maggioranza uscita dalle urne viene meno, non si può far finta di nulla ed invocare la Costituzione formale secondo la quale i governi si formano ancora in Parlamento. E vero, ma non è altrettanto vero che il sistema elettorale prevede l`indicazione del candidato premier ed è a lui soprattutto, prima che alle coalizioni ed ai partiti, che si indirizzano i consensi? Se, sul punto, la legge è ambigua perché consente la coesistenza di ciò che non dovrebbe coesistere, bisogna addebitare la responsabilità a quella stessa classe politica che non ha saputo riformare le istituzioni e a fasi alterne si pronuncia a favore di maggioranze variabili per poi criticarle quando non confacenti ai propri disegni.
Al punto in cui siamo, etica elogica vorrebbero che si facesse chiarezza in due soli modi possibili: la coalizione di centrodestra ritrova la coesione necessaria per attuare il programma di governo (che non è una camicia di Nesso) ed affrontare i suoi corollari (perché non si può far finta che non esistano: le emergenze naturali e civili non previste si dovrebbero trascurare?) e va avanti fino alla fine della legislatura; se le condizioni non ci sono, si stacca la spina e si vota. Tertium non datur. Il resto non appartiene alla buona politica. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di soluzioni pasticciate.
(di Gennaro Malgieri)
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