Sebbene l’Italia sia graniticamente ferrarista, in molti devono aver condiviso il languore sanguinario riversato da Calderoli sul capo della Ferrari: tiè, potere forte che non sei altro, nemico della sovranità popolare, avvoltoio senz’ali sulle carcasse del nostro potere in disfacimento temporaneo, nell’attesa che la fenice di Arcore rinasca una volta in più nel suo nido rovente. Così dettano le viscere, e sono istinti due volte fallaci. Perché Montezemolo non è un potere forte, semmai è un professionista apprezzato che guarda in modo ingenuo la politica; e perché chi gode nel vedere il riflesso grigio proiettato su di lui dalla delusione ferrarista non fa che replicare lo schema dei forsennati antimilanisti impegnati da quindici anni nel tifare contro la squadra di Silvio Berlusconi. Con il risultato che numerosi berlusconiani di altra fede calcistica hanno preso a tifare Milan per un malinteso senso della propria militanza.
Certo, se Montezemolo avesse vinto il Mondiale e ne avesse fatto la cornice ammiccante d’una candidatura in politica non avremmo perso l’occasione di sorriderne. Con lui o suo malgrado. Gli avremmo ricordato che di Cav. ce n’è uno solo e basta. Adesso che lo vediamo triste ci viene da solidarizzare, e da dirgli che i sondaggi non smetteranno di raffigurarlo come un uomo popolare e affidabile. E la politica? Non tutte le riserve della Repubblica sono destinate a nobilitarla allo stesso modo. E poi il suo non è un consenso che si conti nelle urne o si pesi sul mercato parlamentare. E’ un’altra cosa, più vaporosa e aggraziata, è l’immagine di uno che nello sport sa vincere anche perché immalinconisce quando arriva secondo o terzo. Mentre in politica bisogna sempre dire d’aver vinto.
(di Alessandro Giuli)
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