E' l’era dell’informazione telecomandata a renderci così ignoranti ed è la sua spropositata ridondanza a farci disinteressati?
Bisogna guardarci dalla tentazione di confondere le cause con gli effetti. L’informazione telecomandata che c’inonda di notizie futili e tale quelle importanti conoscere le quali sarebbe “scomodo” per il potere non sarebbe né ammissibile, né plausibile, né accettabile come tale se non si rivolgesse a una società civile caratterizzata da una desolante povertà etica e culturale: una società civile incapace di chiedersi ad esempio che cosa ci fanno, veramente, i “nostri soldati”, in Afghanistan e in Iraq, e che invece si appassiona allo squallore voyeuristico di spettacoli come “Il Grande Fratello”; una società di famiglie che, alla domenica, vanno in gita all’interno dei Centri Commerciali; una società di gente che non riflette più, di famiglie dove non si discute e non si condivide più nulla salvo i beni; una società dove le notizie (diffuse, quelle) che l’evasione fiscale o la corruzione sono generalizzate vengono accolte come se ciò fosse del tutto ovvio e naturale. Non ci siamo ridotti così per colpa della cattiva informazione: tolleriamo una cattiva informazione perché siamo ridotti così. Ma ciò significa che siamo alla necrosi eticosociale.
Nella post-modernità la nostra visione dell’Islam è ancora volteriana?
La visione dell’Islam è ordinariamente subordinata a quattro parametri, che servono a chi ci comanda: la disinformazione; il disinteresse; la genericità; il pregiudizio. S’ignora, o si finge d’ignorare, che l’Islam interessa quasi un miliardo e mezzo di persone; che non ha un centro disciplinare e istituzionale (non ha “Chiese”) e quindi non è possibile dare su di esso un giudizio univoco (si potrebbe dire che esistono, anziché l’Islam, gli Islam) ; che la sua complessa storia è profondamente radicata nel monoteismo abramitico e nella cultura ellenistico-romana e che ha quindi tanti e tali rapporti con la cultura del cosiddetto “nostro Occidente” da poter far realisticamente pensare che, in realtà, si tratti di un solo immenso albero culturale che da un solo tronco ha consentito il ramificarsi di cristianesimo, ebraismo e Islam. Si preferisce, invece, soffiare sul fuoco della favola abietta dello “scontro di civiltà” come volano demagogico e instrumentum regni, spauracchio sventolato davanti all’opinione pubblica per impedirle d’intravedere le ragioni effettive dei suoi problemi.
Siamo schiavi di “un moralismo antistorico”?
Siamo schiavi della nostra attuale incapacità di esprimere valori culturali positivi, del materialismo volgare che sta alla radice della cultura dei profitti e dei consumi, dell’oscura e ottusa paura che nasce dall’intima consapevolezza che la civiltà dell’individualismo e del progressismo, quella dell’Occidente cioè della Modernità (i due termini sono sinonimi) è arrivata al capolinea e si traduce in un’isterica ricerca del nemico metafisico, di Qualcuno e Qualcosa al quale addossare la responsabilità della nostra decadenza. Da qui il volgare equivoco che alimenta le “ricerca di sicurezza”, una delle prime esigenza propagandate come tali dai nostri politici e dai nostri massmedia e che per vivere e prosperare ha bisogno del mito del Complotto. La “minaccia terroristica” è il tipico prodotto di questa sinistra mitologia, alla quale si stanno sacrificando concreti spazi di libertà.
Peggio questo materialismo di quello comunista, scriveva lei…
Di gran lunga. Anzi, dal momento che il liberal-liberismo occidentale ha ormai dato luogo a un nuovo tipo di totalitarismo espresso dal “pensiero unico”, ritengo che ormai il paragone tra questo tipo di totalitarismo e, per esempio, lo stalinismo, sia aberrante e obiettivamente offensivo. L’offeso è lo stalinismo, beninteso.
La tirannide staliniana nasceva comunque dalla deformazione statalista e centralistica di un desiderio e di un bisogno profondo – e, alla radice, nobile – di giustizia. La tirannide di quello che Jean Ziegler ha definito “l’Impero della Vergogna” nasce dallo sfrenato individualismo e dalla Volontà di Potenza dei protagonisti (persone e lobbies) delle società transcontinentali e dalle estreme conseguenze dello “scambio asimmetrico” imposto con la forza dagli europei fino dal XVI secolo a tutti gli altri popoli e che oggi ha condotto i quattro quinti dell’umanità a vivere sotto la schiavitù dell’indebitamento e della fame. Le cosiddette “libere (e “naturali”) leggi del mercato” sono a tutt’oggi le prime e peggiori nemiche dei Diritti dell’Uomo che il genere umano conosca. Ma gli europei non se ne rendono conto perché resta loro difficile se non impossibile capire come i più modesti di loro sono, tuttavia, parte della minoranza privilegiata del mondo. Il punto è che viceversa tale realtà ormai non è più ignota agli altri, ai quattro e più milioni di “dannati della terra”: e che essi stanno progressivamente prendendone conoscenza e non sono più disposti ad accettarla. Da ciò discendono due necessità: “decrescita” (altro che “sviluppo sostenibile”) delle società opulente e ridistribuzione della ricchezza. Noam Chomsky, Jean Ziegler e Serge Latouche hanno nel complesso ragione: le loro visioni non concordano in tutto, lma la direzione è quella. L’alternativa è la catastrofe.
Il neo-fondamentalismo occidentale esercita una pace punitiva. Il concetto di pace non è più legato, né tanto meno preceduto, da quello di giustizia?
L’Occidente fa il deserto e lo chiama pace; aggredisce ed occupa, e lo chiama “esportazione della democrazia”; nel migliore dei casi, cerca d’imporre agli altri le forme politiche, etiche e culturali che a suo avviso sono le migliori (se non le uniche, il “naturale” punto d’arrivo della civiltà); definisce “barbarie”, “arretratezza”, “fanatismo” qualsiasi forma di resistenza tesa a salvaguardare, da parte degli altri, la propria identità; chiama con disprezzo “relativismo” qualunque istanza tesa a rispettare e a tutelare il diritto di tutti i popoli alle rispettive culture, dimostrando di confondere i concetti di “relatività” e di “relativismo” e d’ignorare perfino la differenza tra “relativismo etico” e “relativismo antropologico”, quello che c’insegna a comprendere qualunque cultura dall’interno dei suoi princìpi e a coglierne la sua “ragione nascosta”.
Quanto alla giustizia, la prima e unica forma di giustizia planetaria sarebbe quella che tendesse – con tutta la gradualità necessaria – a garantire non la parità e l’uguaglianza, che sono obiettivi innaturali e utopistici, ma un livello indispensabile di vivibilità e di decoro per tutti. Le classi dirigenti occidentali lavorano nel senso diametralmente opposto rispetto a questo obiettivo: lavorano perfino a rubare l’acqua ai popoli attraverso la privatizzazione della sua gestione, a sottrarre loro la possibilità di ottenere cure sanitarie adeguate attraverso l’artificiale mantenimento elevato dei costi dei brevetti farmaceutici. L’Occidente è genocida per un motivo mille volte più abietto di quelli fondati sulle ideologie razzistiche o collettivistiche: è genocida per sete di profitto.
Quella dell’Occidente è una guerra ideologica che diffonde, per dirla con Robert Jaulin, «la civiltà del vuoto, essenzialmente etnocida».
Solo che ormai l’Occidente ufficiale ha perduto per strada qualunque dignitoso e credibile alibi per difendere il suo vuoto. Quando diventa chiaro che lo scopo dell’accumulo capitalistico è l’accumulo capitalistico, che lo scopo dello sfruttamento è il suo perpetuarsi, che il mezzo si è trasformato in fine e che come fine è inaccettabile, si è arrivati al capolinea. E prima o poi il disincanto si generalizza, diventa coscienza condivisa. E’ necessario invertire la rotta prima che si arrivi a tanto; prima che sia troppo tardi.
Perdita del sacro o invece perdita di potere, dell’Autorità, dei mediatori religiosi istituzionali?
La Modernità si è costituita, dal medioevo ad oggi, su successive “liberazioni” ch’erano in realtà depauperamenti. La filosofia si è liberata dalla teologia, quindi la politica e la scienza si sono liberate dalla filosofia, quindi l’economia e la tecnologia si sono liberate dalla politica, si sono fatte politica esse stesse e hanno asservito la scienza. Ma l’indefinito sviluppo economico e tecnologico, spogliato dalle ragioni etiche e politiche, ha fatto progredire l’Impero del Nulla. Ch’è appunto quello che Ziegler ha definito “della Vergogna”. La tirannia del Capitale sul lavoro è stata un aspetto di tutto questo: con l’aggravante che, negli ultimi anni, lo sviluppo della speculazione finanziaria l’ha ridotta a tirannia del Capitale Inesistente. E’ il trionfo del nihilismo. Una società che si regge sul dominio dell’oro, solo che si tratta di “oro virtuale”. Il trionfo dell’estremo materialismo, quello fondato su una materia inesistente, illusoria. In Matrix si cela una profezia piuttosto realistica, forme fantafuturibili a parte.
Solo un dio può salvarci dal non-essere? E – sempre sul sentiero heideggeriano – saremo ancora capaci di un Dio?
Il problema non è capire se davvero abbiamo abbandonato Dio. E’ capire se Dio ha abbandonato noi, e se è possibile un Suo ritorno. Quel che i cristiani aspettano da duemila anni è la Seconda Venuta del Cristo. Ma come Re, Duce e Giudice.
(fonte: http://www.rinascita.eu/)
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