 È finito l’anno della Mignotta. Personaggio chiave della politica  italiana, anello di congiunzione tra la stampa e la magistratura,  punto di ristoro e di agguato per il premier, è stata la speranza  estrema della sinistra e dei poteri loschi per sovvertire la sovranità  popolare. Dissento da Paolo Guzzanti, studioso del fenomeno, che usa la  definizione di Mignottocrazia: ritengo che non si tratti di potere  nelle mani delle mignotte, ma di mignotte nelle mani del potere che le  usano per allietare o rovesciare i governi e consentire l’alternanza a  dispetto degli elettori.
È finito l’anno della Mignotta. Personaggio chiave della politica  italiana, anello di congiunzione tra la stampa e la magistratura,  punto di ristoro e di agguato per il premier, è stata la speranza  estrema della sinistra e dei poteri loschi per sovvertire la sovranità  popolare. Dissento da Paolo Guzzanti, studioso del fenomeno, che usa la  definizione di Mignottocrazia: ritengo che non si tratti di potere  nelle mani delle mignotte, ma di mignotte nelle mani del potere che le  usano per allietare o rovesciare i governi e consentire l’alternanza a  dispetto degli elettori.  Alla Mignottocrazia preferisco la definizione etnico- paesaggistica di Zoccolandia, più ridente e più aderente a un paese in cui prostituirsi è mestiere diffuso non solo tra le donne. È finito l’anno di Italo Bocchino. Meteorite piovuto da una galassia lontana, l’asteroide ha assunto il nome del posto dove è precipitato, l’Italia, e l’accento del luogo in cui fu trovato, il Casertano. Fervono studi sull’origine del cognome. Nessuno sapeva a che titolo fosse divenuto il personaggio dell’anno. Il suddetto asteroide ha monopolizzato le telecamere più di Belen, imperversando dappertutto, incluse le previsioni del tempo. La gente disperata si era ridotta a rifugiarsi nella pubblicità per non vedere e sentire il Bocchino che sentenziava sulla vita e la morte di governi, premier, partiti e alleanze, giornali e giornalisti, appalti in Rai e subappalti in Campania. Si confida nell’inceneritore di Caserta. È finito pure l’anno del suo seguace, il Bocchino-dipendente Fini, un tempo leader di un partito e ora libero professionista con studio in Camera. È finito l’anno di Nichi Vendola, l’omo della provvidenza, protagonista assoluto della sinistra. Auguriamoci che sia lui il candidato premier per quattro ragioni.
1-riporterebbe in politica l’alfabeto delle passioni ideali, se non i contenuti almeno le parole che danno dignità alla politica. 2-Da rompiscatole doc dimostrerebbe che il Pd è una scatola vuota. 3-Sarebbe divertente come avversario, con le sue «affabulazioni» e la sua curiosa personalità ben delineata da Galli della Loggia e Checco Zalone. 4-Libererebbe la mia Puglia da un governatore che non amministra e lascia malgovernare. Perciò lo vogliamo a Roma. Non so perché, ma lo vedrei bene con i capelli della Polverini. Quei capelli a tendina, tipo Cleopatra der Tufello, gli addolcirebbero lo sguardo inquietante e la testa bombata. È finito l’anno di Napolitano che oggi rivolgerà gli auguri agli italiani. Tutto sommato nel 2010 si è comportato in modo dignitoso ed equilibrato. Non ha colpa se è portatore sano della sinistra presente, del comunismo passato e della vecchia partitocrazia. E ancora meno ha colpa personale se la sua inflessione e perfino il suo cognome evocano a molti la monnezza e la camorra.Lo vedo un po’ accasciato; sarà l’amor patrio ma mostra tutti i 150 anni dell’unità d’Italia.
 È finito l’anno di Mauro Masi, l’uomo più impotente d’Italia. Un tempo il  direttore generale della Rai era ritenuto l’uomo più potente d’Italia.  Invece il povero Masi deve prendere ordini dall’azionista, cioè il  Tesoro, dal premier e il suo governo, dal Parlamento, dalla Commissione  di vigilanza Rai, da una marea di authority, sindacati e associazioni,  dai suoi stessi dipendenti, da primedonne e magistrati che decidono chi  mandare in onda e che programmi fare. Subisce i programmi di successo  della Rai, è costretto a opporsi agli ascolti. Un suo provvedimento  contro qualcuno si trasforma in gratifica, una sua censura equivale a  una promozione, i suoi ordini vengono coglionati anche nel video della  sua stessa azienda, la sinistra lo disconosce, ma anche il centrodestra  fa finta di non conoscerlo. Un magistrato di buon cuore lo reintegri con  l’anno nuovo nell’ufficio reclami della Rai. È finito l’anno di Lady Gaga, eletta star numero uno del pianeta. Nata  in laboratorio da un accoppiamento a distanza tra Madonna e Michael  Jackson, frutto di una miscela chimica tra ormoni pop e ovuli rock, la  sua esistenza è incerta.
C’è chi la reputa uomo, chi trans, chi ermafrodita, chi un fumetto, una bambola fatta di vestiti assurdi con la suoneria custodita tra le scapole. L’italoamericana Stefani Joanne Angelina Germanotta cerca ad ogni costo la trasgressione. Il sesso è poco, ci vuole altro per violare i tabù, e così si accanisce su religione, infanzia e morte. Troppo scontato. Oggi la vera trasgressione è la tradizione. Suor Germanotta prenda i voti e usi il cilicio, preghi col rosario. Sarà quella la vera trasgressione, se lo farà di nascosto dal pubblico, magari a casa sua appena finirà quest’anno di celebrità mondiale.
È finito l’anno di Elton John neo-mamma. Tutti a congratularsi con la rock star e con suo marito per il figlio in provetta. Nessuno che abbia avuto il coraggio di indignarsi per la mortificazione della donna, ridotta ad animale sfruttato, anzi a macchina per sfornare figli e poi cederli al danaroso acquirente. Il dogma gay schiaccia anche i diritti della donna e la denuncia dello sfruttamento biologico dei ricchi sui poveri. A proposito di figli, meglio l’esempio delle 113 mamme francesi che qualche giorno fa sono andate a prendersi i rispettivi bambini adottivi, rimasti orfani per il terremoto di Haiti. Erano belle a vedersi quelle mamme raggianti che hanno dato un futuro a quei bambini.
(di Marcello Veneziani)
 
 
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